Il cardinale Georges Marie Martin Cottier.

La Chiesa e la luna

È morto il Cardinale domenicano, teologo emerito della Casa Pontificia. Nato nel 1922, il porporato svizzero è stato collaboratore degli ultimi tre Papi. "Vatican Insider" ripubblica un suo articolo comparso su "30Giorni" nel 2012

Leggendo L’Osservatore Romano, sono rimasto colpito da un articolo scritto dal cardinale Kurt Koch e pubblicato lo scorso 27 gennaio con una titolazione piuttosto singolare. L’articolo si intitolava "Ecclesiologia lunare". E recensiva il volume del cardinale Walter Kasper Chiesa cattolica. Essenza, realtà, missione, recentemente pubblicato in Italia dalla editrice Queriniana. Nei passi del libro valorizzati anche dalla recensione ho trovato spunti che mi sembrano preziosi, soprattutto in vista dell’Anno della fede e del prossimo sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione.

Il titolo della recensione del cardinale Koch rinvia a un’analogia tradizionale applicata alla Chiesa già dai Padri dei primi secoli, ripresa anche nel Medioevo: quella secondo cui la natura della Chiesa si può cogliere usando la figura della luna. La luna porta la luce nella notte, ma la luce non viene da lei, viene dal sole. Così è la Chiesa: essa porta la luce al mondo, ma questa luce che porta non è sua. È la luce di Cristo. «La Chiesa», commenta il cardinale Koch nella sua recensione, «non deve voler essere sole, ma deve rallegrarsi di essere luna, di ricevere tutta la sua luce dal sole e di farla risplendere dentro la notte». Nel ricevere la luce da Cristo la Chiesa vive tutta la sua pienezza di letizia, «giacché essa», come confessò Paolo VI nel Credo del popolo di Dio, «non possiede altra vita se non quella della grazia».

Alla vigilia dell’Anno della fede, l’immagine della luna aiuta a cogliere anche quali siano la natura della Chiesa e l’orizzonte proprio della sua missione.

Il paragone con la luna non va preso come una marginalizzazione della missione della Chiesa. La Chiesa è a suo modo responsabile della luce di Cristo che è chiamata a riflettere. Quella luce non va oscurata. La Chiesa deve riverberare, e non appannare o spegnere in sé quel riflesso. Come fa la luna durante la notte, essa deve diffondere la luce di Cristo nella notte del mondo che, lasciato a sé stesso, rimarrebbe nel peccato e nell’ombra della morte. Come annotava sempre Paolo VI nel suo discorso d’apertura della seconda sessione del Concilio ecumenico Vaticano II: «Quando il lavoro di santificazione interiore sarà stato compiuto, la Chiesa potrà mostrare il suo volto al mondo intero, dicendo queste parole: Chi vede me, vede Cristo, così come il divin Redentore aveva detto di sé: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9)»...

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