Cosa c'entra Dio con l'amore?

I fondamenti della famiglia cristiana, il rapporto tra dottrina e società, la sessualità, il compito del cammino matrimoniale. Il teologo della Lateranense, Nicola Reali, rilegge l'esortazione post-sinodale di papa Francesco
Paolo Rodari

Professore di Teologia pastorale dei sacramenti al Pontificio Istituto Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense, Nicola Reali, autore per Edb del volume Quale fede per sposarsi in chiesa? Riflessioni teologico-pastorali sul sacramento del matrimonio. Lo avevamo già intervistato qualche mese fa, alla chiusura del Sinodo sulla Famiglia. Siamo tornati a fargli qualche domanda, dopo la pubblicazione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia.

Professore, dopo due anni di lavoro, Francesco ha racchiuso quanto emerso ai Sinodi dei vescovi sulla famiglia in un testo che parla della gioia dell’amore. Si aspettava questo titolo?
Così come è formulato letteralmente, no. Tuttavia, se teniamo conto di tutto il cammino che la Chiesa ha fatto in questi ultimi decenni su questo tema, posso dire che questo titolo non stupisce. Basti, infatti, ricordare che già il Vaticano II, cinquant’anni fa, aveva indicato l’amore coniugale come l’elemento essenziale, al quale guardare per comprendere la natura del matrimonio e della famiglia (cfr. l’intero n. 49 di Gaudium et spes). Francesco si inserisce in questa strada e aiuta a comprendere che non si possono leggere le caratteristiche della famiglia cristiana senza dimenticarsi della centralità dell’amore. Lo aveva già detto in modo molto efficace nella Messa di inizio Sinodo, parlando dell’indissolubilità: «L’obiettivo della vita coniugale non è solamente vivere insieme per sempre, ma amarsi per sempre!». È il tema dell’amore, dunque, il cuore dell’esortazione.

Le sfide sul tappeto sono molteplici. In generale Francesco ricorda all’inizio una cosa importante. E cioè che «in ogni Paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali». Significa che la dottrina della Chiesa può essere rivista a seconda dei Paesi in cui viene applicata?
Guardi, se c’è proprio una cosa che l’esortazione non mette a tema è il cambiamento o l’adattamento della dottrina. Casomai è presente l’indicazione a non considerare la dottrina come una specie di “monade” che galleggia sulla storia, ma che, viceversa, chiede di essere vissuta in un contesto preciso, il quale - inevitabilmente - è condizionato culturalmente.

Francesco auspica una salutare autocritica della Chiesa che spesso, nel modo di parlare del matrimonio, non lo rende né desiderabile né attraente. Perché questa distanza? E da dove la Chiesa deve ripartire?
L’elemento di autocritica e, di conseguenza, di correzione che il Papa indica si può riassumere in un duplice suggerimento: a) correggere il moralismo di tutti coloro che si sono mossi in questo campo partendo unicamente dalla schematica applicazione di regole che dividevano il mondo in bianco e nero, regolare e irregolare, giusto e sbagliato; b) superare un approccio al tema partendo da un’immagine ideale e perfetta di matrimonio e famiglia da calare nella realtà che, oltre a non farsi carico della vita concreta delle donne e degli uomini del nostro tempo, indulgeva a una sorta di romanticismo cattolico (due secoli dopo).

Il Papa non nasconde il fatto che esiste un sistema che tende a indebolire la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Parla dell’ideologia del gender e di altre sfide. Come deve stare la Chiesa di fronte a esse?
Anche qui, se non fosse una parola ormai logora, mi verrebbe da dire che si dimostra il “realismo” di papa Francesco. Egli chiaramente denuncia il carattere ideologico di tutte le deviazioni del mondo cosiddetto postmoderno. L’importante, però, è capire che il Papa non reputa sufficiente la denuncia, poiché deprecare l’imporsi, sempre più crescente, di questi modelli culturali, seppur sia una sacrosanta verità, non è sufficiente a contrastare il declino della famiglia, dal momento che, più o meno esplicitamente, sospende la soluzione del problema al momento in cui i modelli culturali cambieranno nel senso auspicato dalla Chiesa. È vero che il mondo odierno è relativista, pansessualista e in preda a un pauroso deficit educativo, ma è pur sempre il mondo di oggi. Non si può pensare che solo quando il mondo non sarà più relativista, le cose andranno bene; altrimenti, c'è il rischio non solo di attendere invano, ma anche di svolgere unicamente il ruolo di coloro che restano spettatori passivi di un’epoca che non li vedrà mai protagonisti.

Nel testo si parla della dimensione erotica dell’amore e viene proposto uno sguardo positivo, per nulla censorio, della sessualità. C’è a suo avviso un accento nuovo in questo rispetto a documenti precedenti?
A mio avviso la novità non sta nell’aver parlato di questi temi, ma nell’averne parlato oggi. Cosa voglio dire? Il primo Papa che ha - passatemi il termine - “sdoganato” un discorso esplicito sulla sessualità è stato senza dubbio Giovanni Paolo II, parlando, appunto, di corpo e di sessualità. Per cui, da questo punto di vista, non è una novità l’insegnamento dell’esortazione. Quello che è nuovo è che, a distanza di quasi trent’anni, il Papa abbia avuto il coraggio di riprendere un discorso sulla sessualità, rilanciandone un giudizio positivo. Un giudizio, cioè, che non si limita a criticare tutte le degenerazioni e banalizzazioni cui la sessualità è andata progressivamente incontro, ma aiuta l’uomo e la donna a riconoscere e, quindi, a capire come Dio è implicato nel loro amore.

Francesco conclude dicendo che nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare. Come favorire questo sviluppo?
Questo è un altro aspetto nel quale si dimostra il realismo di Francesco di fronte al cammino reale e concreto delle famiglie. Un cammino, però, che deve possedere una meta e, dunque, uno scopo che diventa anche il compito della vita famigliare. Riconoscere questo scopo, questo compito - che Matteo nel Vangelo chiama «Regno dei cieli« (cap.19) - permette di ritornare con più pace e serenità di fronte alle fatiche, alle tensioni e sofferenze che il cammino matrimoniale inesorabilmente implica (AL, n. 126) e così, parafrasando Claudel, poter affermare che «l’amore, chi lo conosce, sa che di gioia e di dolori in parti uguali è composto».