Il ponte di bambù sul fiume Mekong.

I selfie, le passerelle e la fede di Pholly

Sul Lago d'Iseo l'opera d'arte di Christo. A diecimila chilometri, in Cambogia, un altro passaggio sulle acque del fiume Mekong. Collega Kompong Cham ad un'isola, dove tra duemila persone abita una sola cristiana

«No, non credo che Gesù sia risorto. (…) Ma il fatto che lo si possa credere (…) mi intriga, mi affascina, mi turba, mi sconvolge - non so quale sia il verbo più adatto» (Emmanuel Carrère, Il Regno).

Da qualche tempo ormai sono alle prese con il mistero della resurrezione di Cristo. Anzi, tutti i giorni faccio i conti con tale mistero. Mi chiedo spesso che cosa sia il cristianesimo e che senso abbiano le parole di San Paolo: «se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (Prima lettera ai Corinzi, 15,17). C’è dunque un legame tra la resurrezione di Cristo e la natura del cristianesimo? Esso è semplicemente una dottrina, un insieme di regole, una riserva etica necessaria alla convivenza civile? Oppure il cristianesimo è un'esperienza di vita, un avvenimento, una presenza? Sono possibili diverse risposte, ma non tutte riescono a giustificare il mio essere missionario in Cambogia. Le parole di Emmanuel Carrère che aprono la lettera, prese dal suo ultimo libro, Il Regno, mi provocano. Carrère racconta della sua conversione a Cristo e del successivo abbandono della fede per l’impossibilità di accettare il fatto «che [Cristo] sia resuscitato il terzo giorno e, perché no, nato da una vergine». Dopo avervi creduto per qualche tempo, ora ritiene tutto questo una «folle credenza». E preferisce il «buonsenso», pensando che alla fine «un gruppetto di donne e uomini - le donne per prime -, disperato per la perdita del loro guru, si sia fatto tutto un film raccontandosi quella storia della resurrezione».

Il libro, ben scritto e documentato, affascina perché l’abilità di Carrère scrittore restituisce ai tanti passaggi evangelici citati, in noi sbiaditi dal tempo e dalla consuetudine, la freschezza delle origini. Quanto alle ripetute intrusioni autobiografiche, queste disturbano alquanto la lettura e generano l’impressione che l’intero libro sia una sorta di selfie: una lenta progressiva idolatrica riduzione di tutta la realtà, soprattutto della realtà di Dio, in un grandioso autoritratto. Perché «ho sempre bisogno di altra gloria, di occupare uno spazio sempre più grande nella coscienza degli altri», scrive Carrère, scivolando consapevolmente nell’idolatria del nostro tempo per cui tutto deve coincidere con l’io-mio. Dio, il mondo, le persone, diventano solo un’occasione per dire di sé, scattare un selfie che metta l’io-mio al centro di ogni panorama.

Di questi tempi, anche la teologia può essere ridotta ad un selfie e il Dio vivente che «intriga affascina turba e sconvolge», può essere ridotto a rappresentazione dell’universalità dello spirito, a metafora per dire l’anelito di infinito che è nell’uomo, a simbolo dell’amore a cui tutti aspirano con forme intimiste che variano con il tempo, ma che sostanzialmente lasciano l’uomo solo, impegnato in un monologo con se stesso, perché questo Dio ha ormai perso il suo carattere di persona vivente, ridotto a discorso sull’autocoscienza dell’uomo, «figura, transitoria, legata al processo dell’analisi», a cui anche Carrère si era sottoposto per vincere la depressione. Qua e là fa capolino il solito ritornello, cioè «che il desiderio religioso nasca dalla nostalgia della figura paterna e dal fantasma infantile di essere il centro del mondo».

In questi ultimi giorni invece, «l’imponenza del Risorto» (Julián Carrón, La bellezza disarmata) si è fatta strada attraverso la figura di una donna, - «le donne per prime» - per la quale Gesù è vivo. A Kompong Cham, l’incontenibile flusso d’acqua del fiume Mekong, ormai tutt’altro che iroso anzi piuttosto lento, maestoso, solenne, si apre e si divide per lasciare affiorare un’isola. Ben visibile dall’alto, abbracciata dal corso d’acqua, l’isola è abitata da circa duemila persone distribuite in nove villaggi. Ebbene, tra quelle duemila persone e quei nove villaggi, su quell’isola, c’è un’unica, sola cristiana, Ming Pholly. Uno stupendo quanto fragile ponte costruito con legno di bambù collega l’isola alla terra ferma. Si tratta di una passerella a fior d’acqua, che fa il verso a quella realizzata da Christo sul lago d’Iseo, in provincia di Brescia, e che ha destasto notevole successo attirando migliaia di visitatori per l’immancabile selfie… Qui invece è tutto più originale artigianale, economico e naturale! Come naturale e semplice è la fede di Pholly. Lei mi dice che non sarebbe possibile credere «senza la presenza viva di Cristo».

C’è un primo livello che ci consente di sperimentare Gesù-vivo. Egli, come ogni grande uomo del passato, sopravvive nelle pagine che lo riguardano. E questo sembra andar bene anche a Carrère, perché «mai come qui [nei vangeli] siamo vicini all’origine. Mai come qui sentiamo distintamente la sua voce». «Tra ciò che penso io e ciò che dice il Vangelo, ci guadagnerò sempre a scegliere il Vangelo». Ma potrebbe anche significare che è possibile apprezzare l’insegnamento di Gesù pur senza doverlo credere risorto. Gesù-morto continua a sopravvivere nel suo messaggio, nella bellezza del suo vangelo. Come scrive Péguy, la parabola del figliol prodigo «è bella in Luca. È bella dappertutto. È solo in Luca. È dappertutto. È bella sulla terra e in cielo. È bella dappertutto. Al solo pensarci un singhiozzo vi sale alla gola. È la parola di Gesù che ha avuto l’eco più vasta nel mondo. Che ha trovato la risonanza più profonda nel mondo e nell’uomo. Nel cuore dell’uomo» (Charles Péguy, I misteri). Certo, con il solo Vangelo, preso alla lettera, si potrebbe superare abbondantemente la sapienza di questo mondo. Ma basta questo per dirsi cristiani?

C’è un secondo, ulteriore livello che ci consente di sperimentare Gesù-vivo. Egli sopravvive nella sua Chiesa. Anche questo sembra andar bene a Carrère. Infatti, nelle commoventi e coinvolgenti pagine conclusive, il nostro Autore racconta dell’incontro avuto con Jean Vanier, fondatore dell’Arche. Gesù-morto sopravvive nei gesti dei suoi discepoli e quindi nei gesti di Vanier che nel prendersi cura di Eric, cieco e sordo, abbandonato dalla nascita, rifiutato, umiliato, riesce a vivere nel grande segreto del Vangelo. Nell’accudire Eric, nel lavarlo, pulirlo, toccarlo anche se non guarirà, nello «stare il più vicino possibile a ciò che c’è di più povero e vulnerabile nel mondo e in se stessi». Carrère riconosce l’essenza del cristianesimo.

Ma, ancora, questo basta? «Il cristianesimo è tutto qui?», si chiede il filosofo Salvatore Natoli, «o vi sono cose a cui l’uomo è elevato, che a lui sono donate, ma che non appartengono alle sue possibilità? Peccato, grazia, redenzione, fine del mondo, vita eterna, sono travestimenti simbolici la cui verità é solo l'azione caritatevole o si riferiscono a cose che gli uomini non possono fare da soli che non sono alla loro portata, che riguardano gli impossibilia Dei? (…) mi chiedo unicamente se il Cristo buono ed evangelico ai cristiani basta. E se gli basta, c’è ancora bisogno di fede o non v’é più nulla da credere? Se vi è qualcosa da credere ritengo, però, non sia di molto diverso da quanto i cristiani hanno da sempre annunciato e quindi che il Risorto vive, siede alla destra del Padre, (...). Se il cristianesimo non annuncia il "Risorto" - e tutto ciò che ne segue - si risolve facilmente in morale. Sepolto come fede sopravvive come episodio della civiltà (...), una riserva di metafore che gli uomini impiegano per dire di sé, per rappresentare e raccontare di volta in volta il senso e il non senso del loro stare al mondo». (S. Natoli, Il cristianesimo di un non credente).

C’è dunque un terzo livello che ci consente di sperimentare Gesù-vivo e che questa volta Carrère non accetta. Gesù non solo sopravvive nella dottrina evangelica e nei gesti dei suoi discepoli, ma nel fatto stesso che Egli è vivo, risorto! Perché se l’Evangelo o la Chiesa sopravvivono al potere che in ogni modo cerca di ridurre tutto a selfie, è solo per «l’imponente presenza viva di Cristo, che con la potenza del suo Spirito genera la comunità cristiana» (J. Carrón, La bellezza disarmata).

«Quello che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Gesù stesso. (…) in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità», come scrive Vladimir Solov'ëv. E se, come Carrère, possiamo permetterci di pregarti così, «Ti abbandono, Signore. Tu, non abbandonarmi», è perché ammettiamo che Tu sei più vivo di noi!

Padre Alberto Caccaro, Kompong Cham