«Presi da Dio e tessuti dal popolo»

Quattromila sacerdoti e consacrati in Cattedrale, sabato mattina, per incontrare il Santo Padre durante la visita alla Diocesi di Milano. Il racconto di un dialogo aperto nelle parole di don Mauro, parroco a Varese
Paola Ronconi

È stato un incontro con domande e risposte, un padre coi suoi figli, quello di Francesco coi quattromila sacerdoti e consacrati in Duomo, seconda tappa della visita a Milano, dopo via Salomone.

Come si possono sostenere le sfide di oggi? Come si fa a non smarrire la gioia di evangelizzare e di essere popolo di Dio che testimonia il suo amore per ogni uomo? Ha chiesto don Gabriele.«In questo passaggio storico ben preciso, con queste dinamiche, con questa situazione di frammentazione e di relativismo, il prete è chiamato ad annunciare il Vangelo della gioia. Questa, ci ha detto il Papa, è la più grande sfida», commenta così don Mauro Barlassina, parroco a Varese della chiesa dei SS. Pietro e Paolo. «Il Papa fa un rimando ben preciso tra la nostra epoca e la situazione della Chiesa delle origini. Era una Chiesa sostanzialmente insignificante come numero, ma capace di lasciar trasparire la bellezza di quell’incontro avvenuto con Gesù Cristo crocifisso e risorto, quindi quello diventa la testimonianza. “L’evangelizzazione non sempre è sinonimo di 'prendere i pesci'””, ha risposto Francesco. “È andare, prendere il largo, dare testimonianza… e poi il Signore, Lui ‘prende i pesci’. Quando, come e dove, noi non lo sappiamo”. Io non mi domando tanto qual è la situazione favorevole per annunciare il Vangelo, ma che cosa il Vangelo dice a questo nostro tempo. La novità sta proprio in questo. Non preoccupatevi nell’immediato dei risultati, ha detto il Papa, di portare a casa subito i 153 grossi pesci, ma di annunciare la bellezza dell’incontro con il Signore Gesù. Se noi siamo qui a professare questa fede è perché i primi cristiani hanno riconosciuto la bellezza di quest’incontro. E questo ti offre la possibilità di una serenità, di una pace interiore per vivere il ministero adesso. In fondo è questo lasciarsi fare ciò che intende il Papa con “assumere le sfide” di oggi».

Don Mauro Barlassina

Il Papa è venuto a trovarci, è venuto a “casa nostra”. «Io sento la venuta di Francesco tra noi come il segno di questa Chiesa che esce, “in uscita”, come lui continua a ripetere nell’Evangelii gaudium. Ho riletto la modalità con cui ha voluto la visita nella nostra diocesi come un’attuazione concreta e simbolica dell’“uscire”. Quell’entrare nelle “case bianche” di via Salomone, quando lui ha fatto questo riferimento: “Io sono venuto come un sacerdote, mi avete regalato una stola e questa stola dice che sono sacerdote. Il prete è colui che è scelto, chiamato dal Signore Gesù ad essere prete, ma il suo ministero e il suo sacerdozio è tessuto dal popolo”. Ecco, per me questo è stato un aspetto molto evocativo, è stata la cifra con cui ho riletto tutta la visita del Papa, che poi è stata l’incontro in Duomo, l’incontro a San Vittore, con la gente a Monza, coi cresimandi. Francesco è un pastore. Per me ha voluto dire ritrovare questa Chiesa di popolo. Il fatto che il titolo della visita fosse “In questa città io ho un popolo numeroso”, non è tanto il contarsi, ma un popolo numeroso di discepoli che hanno la chiamata a lasciar trasparire la gioia del Vangelo, e il Papa secondo me la incarna, questa gioia. Ma non da solo. Dentro un popolo. Il suo rimando è sempre a questa relazione con il popolo di Dio. Che per me è anche una modalità di essere prete e riconoscermi preso da Dio, ma a servizio del popolo, a servizio della gente».



Come terza e ultima domanda rivolta al Papa in Duomo, madre Paola delle Orsoline chiede quali siano gli ambiti da privilegiare nel momento in cui si è “minorità”, e si è anche avanti con l’età. «Pochi sì, minoranza sì, anziani sì, rassegnati no!», risponde il Papa. Ma come si fa? «La modalità è quella dell’interiorizzazione», risponde don Mauro, riallacciandosi anche a un’altra parola molto cara a Francesco: il discernimento. «La preghiera diventa un filo conduttore dentro le trame delle relazioni quotidiane, dentro le modalità con cui esercitare il ministero. Quando ha risposto al diacono, il Santo Padre diceva: il primo compito dei preti, dei vescovi è quello di pregare. Ecco, io mi aiuto in questo modo: la preghiera come luogo dove si sperimenta l’unificazione interiore che è l’incontro con il Signore Gesù Cristo. E poi le relazioni più ordinarie che hai nell’esercizio del ministero. Dal celebrare un funerale, la messa, all’incontrare le persone in modo casuale; ascoltando le gioie come affrontando le fatiche, tue e della gente. Tutto questo è dentro la relazione col Signore Gesù, nella preghiera e con la comunità che è fatta di volti, di gesti, di incontri. E così ritorna ancora quello che dicevo prima: lasciarsi prendere da Dio e tessere dal popolo, perché Dio parla anche attraverso il popolo».