Piazza Duomo, Milano.

Cosa si fa per non "vivacchiare"

Il 20 novembre, all'Istituto Leone XIII di Milano, c'è stata l'assemblea di Gs della Lombardia. Come vivere nella difficoltà? Perché versare il fondo comune? Sono alcune delle questioni emerse durante l'incontro dagli interventi dei ragazzi
Tommaso Asquini

«Ma con malinconia vaga il mio sguardo. Quasi un anno è passato senza il mio amore. Mai più lo rivedrò! Ma giuro che sarò tua fino alla tomba e in eterno ti sarò fedele». Con questo canto si apre l’assemblea di noi ragazzi di Gs della Lombardia, tenuta da don Pigi Banna e Alberto Bonfanti.

Don Pigi immediatamente incalza riprendendo la Scuola di comunità, quando dice in che modo i peccati di Pietro fossero come nulla davanti alla suprema simpatia che provava per Cristo. Dopo tocca noi. La prima a intervenire è Laura. Chiede come si può trattenere l’energia del raggio anche nelle situazione più difficoltose, e dove trovare quell’eterno che non fa vivacchiare. Don Pigi tiene viva la domanda. La fila sotto il palco per parlare si allunga. Costanza dice: «La compagnia di Gs per me è simile al rapporto di Gesù con Pietro. Una Presenza che passa attraverso i volti degli amici». Dopo di lei Simone: «Ero demotivato per come stava andando la vacanza con i miei amici. Mi è capitato di leggere uno scritto di Giussani e di parlarne con un amico. Ho scoperto che, davanti a una presenza, l’errore viene meno. Di come io mi gioco in ogni cosa grazie alla scommessa che Cristo fa su di me». Pigi si sofferma sulle parole di Simone: «Cristo vede un punto su cui noi possiamo vincere e scommette tutto su quello. Ti fa scoprire qualcosa di grande in te e te lo conferma ogni giorno».

Continua Bonfanti: «L’esperienza che si fa al raggio è l’inizio di questa scommessa, che non ti fa arrendere al vivacchiare». Marta e Benedetta raccontano di come la Scuola di comunità le aiuti a vivere la giornata. Don Pigi non lascia cadere la loro provocazione: «Questo testo ci libera, è una liberazione». E, ricordando l’esempio che aveva fatto all’ultima assemblea, continua: «È il coltello per uccidere il leone. La risposta al nostro desiderio di felicità non è sul testo, vive tra noi, la Scuola di comunità ci aiuta a guardarlo». Dopo di loro, Linda spiega come, attraverso un’amica e alla Scuola di comunità, sia riuscita a ripartire. Don Pigi commenta: «Ci sono persone che ti vogliono bene, che ti vogliono come sei, che ti guardano in profondità». Prende la parola Francesco: «Noi siamo qui per non vivacchiare. Io sono qui perché ho incontrato un grande amico che prende sul serio me e il mio desiderio».

L’ultimo a intervenire è Michele: «Dopo una cena con i responsabili della mia comunità, sono tornato a casa con uno di loro e sono rimasto colpito dal modo in cui ci guardavamo, di come la presenza di cui tutti abbiamo parlato ci portasse e agisse su di noi. Giorni dopo un amico di famiglia, tornato dall’estero, è venuto a cena. Mi ha colpito la sua chiarezza nel parlare di Gesù, la sua grande certezza». Don Pigi conclude: «Quella che accade a noi è una simpatia in atto, una vera simpatia. Un posto dove si può mettere a tema la fatica che facciamo a vivere. Tutti pensano di avere la ricetta in tasca, ma nessuno vuole sapere come sto io, abbracciarmi tutto. La mattina, dopo essere andati in discoteca, non avete nemmeno il coraggio di guardare il vostro amico negli occhi e chiedergli come sta. Invece qui, usciti da questo teatro non vedete l’ora di salutare il vostro amico, di guardarlo e domandargli come sta. Quindi dove è possibile questa simpatia in atto? Dove siamo realmente liberi? Di fronte ad una presenza che mi ama, che è presente ora. Questo è l’Avvento: un’attesa certa per scoprire l’origine di questa simpatia in atto, di scoprire cosa ci riserva questa Presenza che c’è».

Dopo la messa, alcuni di noi seguono don Pigi a Portofranco. Pranzando con panini e pizza presi al volo si parla. A tema l’iscrizione alla Scuola di comunità. Stefano dice: «Mi sono accorto che pagando l’iscrizione mi sono sentito di appartenere a questa compagnia». Andrea, suo amico, sottolinea che per lui questa comunità è tutto e quindi vale la pena dare anche qualcosa dei propri risparmi. Qui, don Pigi domanda: «Ma io sostengo con questi soldi che offro il movimento perché mi sta simpatico o perché gli do la vita?». Guglielmo taglia corto: «Attraverso quest’iscrizione io mi gioco tutto. Qui passa il desiderio di poter dare tutto, a ciò che mi ha dato tutto». Don Pigi conclude, senza chiudere: «Poche persone ci rendono liberi di giudicare, di guardare i nostri desideri. Il fondo comune e l’iscrizione alla Scuola di comunità a che desiderio rispondono? Spesso pensiamo che il mondo sia ingiusto. Ci sono quelli a cui va sempre bene, e quelli che ne pagano sempre le conseguenze. Ma allora: ci sarà mai giustizia? Attenzione: la giustizia la si può ridurre a potere, cioè all’affermazione di sé e in questo rientra l’uso del denaro, come strumento di affermazione per schiacciare gli altri. Il fondo comune, invece, ti ricorda che i soldi non sono strumento per affermarsi e che la giustizia è tale solo quando il bene dell’altro è il mio bene. Che grande e bella responsabilità abbiamo! Questo piccolo gesto serve per educarci. Partecipare a questo significa iniziare a costruire e salvare il mondo».

Fuori sul marciapiede, avevamo tutti in testa la medesima questione: ricercare insieme quella presenza per cui io possa offrire tutto di me. Questa la partita da giocarsi.