«Ognuno in classe è chiamato in causa»

Dopo gli esami di Stato, è il momento per ripensare all'anno trascorso. Dalle lezioni in aula, al rapporto con le famiglie, fino al compito di chi educa. Un bilancio che indica alcuni punti di lavoro. Senza aspettare «un sistema migliore»

Finiti anche gli esami di Stato posso provare a tirare un bilancio dell’anno scolastico. Un bilancio capace di indicare punti di lavoro per il prossimo, per poterlo vivere con intensità ancora maggiore di quello appena concluso.

Per quello che ho visto accadere, un primo elemento da considerare è che una situazione sociale come quella presente pone necessariamente la scuola al centro dell'interesse della vita di un popolo. Non possiamo in alcun modo trascurare i nostri giovani, non possiamo non fare di tutto per educarli, farli crescere, maturare, diventare persone, diventare se stessi. La scuola ha lo scopo di "servire i giovani" e un compito fondamentale nella loro educazione. Nel tempo presente questa è un'urgenza pari a quella del lavoro (di cui sono pieni i titoli dei media), perché non si può correre il rischio di mandare i nostri giovani allo sbaraglio passivi, indecisi e scettici nell'affrontare le grandi e inedite sfide poste dai grandi cambiamenti che stanno accadendo.

Il secondo elemento della mia esperienza è che la scuola la fa l'insegnante e ognuno che ci opera. Imbattendomi nella frase di Vaclav Havel, già presidente della Repubblica Cecoslovacca: «Non è detto che con l'introduzione di un sistema migliore sia garantita automaticamente una vita migliore, al contrario: solo con una vita migliore si può costruire anche un sistema migliore», ho capito che ognuno di noi era chiamato a non aspettare la "riforma del sistema" per muoversi, ma a vivere una responsabilità, "una vita migliore", a giocare e rischiare in prima persona tutta la propria umanità e professionalità, dentro la scuola così come è. Ho visto che questa posizione costruisce una scuola migliore, capace di cambiare e migliorarsi, più attenta e vicina ai nostri giovani.

Ho inoltre visto che se ognuno di noi è chiamato in causa, ognuno vive dentro una realtà scolastica comunitaria. La grandezza della scuola si esprime quando i docenti vivono e si esprimono come una comunità educante, quando ai giovani è proposta una unità di scopo e metodo vissuta tra gli insegnanti. Di più: accogliere e partecipare a questa unità è ciò che permette al docente di approfondire la passione per la propria disciplina, scoprirne le connessioni con le altre, aprirsi ad una creatività didattica che può diventare proposta educativamente interessante e nuova per gli studenti fino a sviluppare un giudizio più attento e libero su ogni studente.

Mi sono poi accorto che non possiamo veramente assolvere il nostro compito se non dentro un amichevole dialogo con la famiglia. Un dialogo cercato, voluto, desiderato che ha un unico scopo: collaborare ad accompagnare i giovani a diventare grandi. Caratteristica di questo dialogo è la libertà, perché ci si possa correggere, sostenere, valorizzare. Ho capito bene quanto le famiglie desiderino che la nostra scuola, che hanno scelto, abbia sempre a cuore l'educazione dei figli e questo ci ha molto aiutati nel nostro lavoro.

Infine il periodo di crisi che stiamo vivendo mi rende evidente come per adempiere al proprio compito la scuola italiana deve effettivamente essere composta da tutte le realtà educative disponibili, perché ognuna possa dare il proprio contributo alla vita dei giovani. Una scuola che così diventa ricca, perché piena di scuole realizzate da soggetti educativi, e che per diventare ancora più ricca mette tutte queste realtà nelle condizioni di operare con effettiva libertà ed efficienza.

Veramente vogliamo una scuola che sia tutta e solo "al servizio dei giovani". Ciascuno di noi può iniziare a realizzarla.
Stefano, Padova