I docenti precari in Italia sono più di 200mila.

«Vent'anni senza cattedra. E non sono precaria»

Ogni anno cambia scuola, anche più di una volta. Con programmi decisi da altri e senza mai finire un ciclo. Ora, la delusione del "Concorsone". Maria insegna così dal '90. Qui racconta cosa si aspetta e cosa la sostiene: «Essere sempre al lavoro»
Maria Filippi

«Un nuovo inizio», ci diciamo da tempo. Per me, che ho cominciato a insegnare nel 1990 e sono ancora precaria, ogni inizio di anno scolastico è così: una sfida sempre nuova. A fine agosto, una mattinata in una scuola della provincia di Verona, dove abito, per le convocazioni del Provveditorato nelle materie scientifiche, tra quella in cui sono abilitata, diritto ed economia. E poi il giro di altre scuole per altre convocazioni, ricevute attraverso la posta elettronica certificata. Finalmente una bella mattina all’Istituto tecnico commerciale “Aldo Pasoli” mi presento solo io: evviva, tocca proprio a me. La nomina è fino gli “aventi diritto”, ricorda la segretaria, quindi scadrà a breve, ma forse potrei essere io ad avere questo diritto.

Quanta attesa e quanta incertezza: forse dovrò ancora cambiare scuola, non per motivi di salute o altri imprevisti, ma perché le graduatorie devono essere aggiornate, come sempre, a scuola già iniziata creando disagio per studenti e insegnanti e alimentando l’idea che dietro tutta questa macchina burocratica ci sia poca serietà. Resta un fatto: finalmente posso insegnare. Mi butto subito in questa avventura, per me ogni volta nuova: devo conoscere i nuovi colleghi, adeguarmi ai programmi (decisi da altri), procurarmi i libri adottati nelle classi, per fortuna stavolta me ne mancano soltanto due, uno di economia politica l’altro di scienza delle finanze; quelli del biennio li possiedo già. L’anno scorso ho cambiato tre scuole, con i disagi che ne conseguono, primo fra tutti dover interrompere la continuità didattica senza completare un ciclo di insegnamento, e poi anche girare come una trottola da un istituto all’altro, anche molto lontani tra loro, magari per poche ore, con la benzina che mangia metà di quello che guadagno.

Che cosa mi aspetto? Vorrei che fosse valorizzata la mia professione di docente dopo tanti anni di insegnamento. Desidererei insegnare tutto l’anno in una stessa scuola. Poter scegliere i temi da approfondire con gli altri docenti per capire, sia io sia i miei alunni, di più la realtà che è diventata molto complessa. Non svolgere la mia attività in modo improvvisato da un giorno all’altro, ma preparare in anticipo il percorso migliore. Scegliere strumenti e mezzi. Il “concorsone” poteva essere l’occasione giusta per poter fare bene il mio lavoro. Ma il Veneto non ha bandito cattedre nella mia classe di concorso. È l’ennesima porta che sembra aprirsi e invece si chiude.

Eppure la parola “precario” non mi definisce. Due cose mi sostengono: guardare alcune persone ed «essere sempre al lavoro». Un amico, il giorno prima di una convocazione, mi ha detto: «Forza che tocca a te». Un luogo, come l’associazione Student Point Verona in cui insegnanti, universitari, adulti aiutano gratuitamente i ragazzi nello studio. Qui si incontrano tante persone e, sorprendentemente, tutti i ragazzi vogliono studiare: cosa difficile a scuola! E ancora, mia figlia. Una volta mi ha visto piangere prima delle vacanze natalizie perché mi era stato comunicato che finiva la supplenza. Mi ha detto: «Mamma non piangere, pensa con le tue brevi supplenze quanti alunni riuscirai ancora a incontrare e aiutare a Student Point». Questo mi ha incoraggiato. Infatti diversi alunni in difficoltà sono venuti al centro e sono riusciti a superarle, anzi, due mie alunne hanno raggiunto ottimi risultati. La mamma di una di loro ai colloqui generali mi ha detto che è stato merito di Student Point. Questo è avvenuto in un rapporto con loro, una condivisione delle difficoltà senza dover dimostrare nulla.

La seconda cosa che mi sostiene nel precariato è «essere sempre al lavoro». In estate mi sono iscritta al Tfa in economia aziendale all’Università di Verona perché volevo allargare le possibilità di lavoro prendendo un’altra abilitazione, dato che molte scuole stanno riducendo le ore di diritto. Questo voleva dire rinunciare a vacanze tranquille per affrontare un test il 20 luglio. Che contentezza quando ho saputo di averlo superato. Lo studio però è continuato per l’ulteriore prova scritta sui contenuti di metà settembre. Quello studio serve già adesso per la supplenza che sto svolgendo: spiego gli argomenti nella nuova scuola unendo l’aspetto aziendale con quello giuridico. Per me questa è una grande soddisfazione. E poi potrò aiutare al Point ancora più ragazzi in questa materia per loro molto complessa.