Se a pagarla è una scuola...

Un decreto stabilisce nuovi confini e criteri (poco chiari) per il pagamento dell'Imposta municipale. Anche per il non profit. Ma da dove nasce? E che conseguenze potrebbe avere? Prendiamo per esempio un istituto alle porte di Milano...
Emanuele Braga

I conti li ha già fatti: «Ventiseimila euro l’anno». Non proprio spiccioli, insomma. Anche se il bilancio è sui due milioni e con i suoi 527 alunni tra primaria e secondaria «basterebbe aumentare le rette di 30-40 euro l’anno: una botta discreta, ma non da chiudere i battenti. Il problema vero, però, è l’idea che ci sta dietro». E anche il caos che si prospetta davanti. Mario Oriani, commercialista, presidente del consiglio di amministrazione della scuola Aurora-Bachelet di Cernusco sul Naviglio (Milano), è uno dei gestori alle prese con il famoso «Decreto 200», quello che stabilisce confini e criteri per il pagamento dell'Imu pure per il non profit. E obbliga a pagare anche le scuole paritarie, a meno che le rette «non siano simboliche» e non coprano «solo una frazione dei costi di esercizio». Altrimenti, sono attività commerciali. Stanno sul mercato, insomma. E devono versare l’imposta.
«Questo decreto dice dell’idea di non profit che ha una certa impostazione culturale. Non se ne riconosce il valore per tutti».
Prendete l’Aurora-Bachelet, appunto. È un servizio pubblico. La sede nuova, costruita in 14 mesi e inaugurata a settembre, è aperta a tutti e risponde a una domanda diffusa, perché raccoglie alunni da una dozzina di comuni del circondario. Certo, non può farlo gratis. Perché di soldi da Stato e dintorni ne arrivano pochissimi, solo briciole. «Il decreto ministeriale si basa sul famoso parere del Consiglio di Stato che in sostanza dice: ce lo chiede l'Europa, dobbiamo adeguarci. Peccato che in quasi tutti gli Stati europei i professori delle scuole libere le paghi lo Stato. Da noi no. Noi come facciamo a chiedere rette "simboliche"?».
Becchi e bastonati, come dice il proverbio. Obbligati a chiedere soldi alle famiglie perché lo Stato non contribuisce (anche se il servizio è per tutti) e obbligati a pagare una tassa allo Stato proprio in virtù di quei soldi. Kafka sarebbe contento.
Ma le idee sbagliate (e l’ideologia) a monte producono confusione anche a valle del provvedimento. Se le cose restano così, in teoria toccherà pagare. Ma quando? Come? «C’è una scadenza Imu a metà mese. Ma i criteri fissati dal decreto si riferiscono al 2013. Valgono anche ora?». In più, c’è l’intepretazione di quei termini: «simboliche», appunto, e «frazione». «Che cosa vuol dire?», si chiede Oriani: «Che le rette non devono essere superiori a 100 euro? Che possono coprire il 10 per cento dei costi? Il 20?». Intanto molte scuole stanno ricevendo richieste di pagamento. Magari perché hanno sede in immobili “misti”, dove oltre alla scuola ci sono altre attività. «Ma a volte non c’è neanche quello: è solo un problema di accatastamento. Noi abbiamo costruito una sede nuova, accatastata in una certa classe: servizi e via dicendo. La cabina dei quadri elettrici, però, risulta "industriale": in teoria, su quello si paga. Capisce le complicazioni? E poi: c’è una palestra con tutti gli standard. Al pomeriggio viene qualche società sportiva esterna ad usarla. Cos’è, attività commerciale? Come mi regolo?».
Appunto: come si regola? A dicembre pagate o no? «E come faccio, se non si capisce? Noi qui a Cernusco siamo fortunati: rientriamo in un regolamento comunale che ci considera senza fini commerciali. Ma in questo caso prevale il decreto o il Comune?». Si vedrà.