Dalla storia alle frazioni, «afferrati» dallo studio

Insegnanti e presidi bolognesi si sono incontrati per parlare della riforma del sistema liceale. Esami di maturità, orari, nuovi indirizzi. Ma anche di quel «segreto» che fa appassionare gli studenti. Che sono in cerca di «qualcosa di cui potersi nutrire»
Paola Ronconi

«Sicuramente un passo avanti rispetto al mare magnum precedente». Così la pensa Elena Ugolini, preside del Liceo Malpighi di Bologna, rispetto alla riforma dei licei. Lo ha spiegato venerdì 6 maggio al convegno “Come sarà il Liceo del futuro?”, rivolto a insegnanti e presidi dei licei bolognesi. Organizzatori, l’istituto bolognese Veritatis Splendor, in collaborazione con Diesse, Disal, Scholè. Dall’anno scolastico in corso, infatti, sono sei gli indirizzi liceali: classico, scientifico, linguistico, scienze umane, musicale–coreutico, artistico. Fino allo scorso anno il Ministero autorizzava il singolo istituto ad attuare programmi sperimentali con cambi di orari e di insegnamenti, «con la conseguenza mostruosa di avere fino a 450 tipi di esami di maturità diversi». Ora il sistema liceale ha una base comune e lascia un margine di autonomia ai singoli istituti che arriva fino al 30% dell’orario scolastico, «permettendo a ciascun istituto di perseguire una sua identità». Ma non si sta parlando solo di un riassetto di materie e docenti. «È stato scritto un profilo che descrive quale dovrebbe essere il frutto dello studio liceale. Gli studi liceali “forniscono – cito testuale – agli studenti gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché si ponga con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi. Conoscere non è un processo meccanico, implica la scoperta di qualcosa che entra nell’orizzonte di senso della persona che vede, si accorge, prova, verifica per capire”. È la descrizione di un luogo di apertura al senso, che poggia su una tradizione culturale chiara», commenta la Ugolini. Come sempre, però, dipende dalla persona, cioè dagli insegnanti e dai presidi capire come sfruttare queste nuove indicazioni. Un esempio? Licia Morra, insegnante di storia al liceo scientifico Righi di Bologna. Una materia, la sua, che «basta studiare, non c’è nulla da capire». In realtà, al convegno parla di un “segreto” per far appassionare gli studenti allo studio storico: «L’interesse all’uomo. Che nella storia vive, cerca il significato del vivere e in questo costruisce e distrugge». Come diceva lo storico March Bloch, il bravo storico, come l’orco delle fiabe, va dove fiuta carne umana. Sono gli uomini che la storia vuole afferrare.
O ancora: «Capire perché la frazione generatrice dei numeri periodici è costruita in quel modo, è la questione interessante. A fare i calcoli ormai c’è il computer». A parlare è Francesco Prestipino, insegnante di matematica a Carate Brianza, che al convegno mostra come la materia apparentemente più arida possa invece essere fonte di passione. «In matematica togliere la spiegazione del senso è togliere la parte davvero gustosa. Fruibile da chiunque».
Chiara Giaccardi, sociologa della Cattolica di Milano, ha posto l’accento sul mondo dell’informazioni in cui sono immersi i ragazzi di oggi. La scuola deve essere in grado di utilizzare le caratteristiche dei nuovi linguaggi, affinché la parola diventi “icona” (conchiglia), che rimanda ad altro e non semplice nomenclatura. La scuola può essere luogo di apertura alla dimensione iconica della parola e del testo.
Ivano Dionigi, rettore dell’Università di Bologna, individua tre antidoti al «videoanalfabetismo imperante». La parola. «Usiamo vocaboli vuoti che non aderiscono alla realtà, alla conoscenza, alla loro anima». Quindi «bisogna tornare a parlare bene». La memoria. Come dice Amos Oz, «non siamo isole, bensì penisole, per metà attaccate alla terra ferma, per metà di fronte all’oceano», dove non basta saper navigare in internet per renderci contemporanei gli uni agli altri. Il reale. «Dobbiamo spiegare ai più giovani la bellezza e la durezza della realtà, dello studio, del lavoro, della vita. E il discrimine tra stare al mondo e saper vivere, di senechiana memoria. Formare cittadini e non “utili impiegati”. Questo significa essere Maestri». Dionigi vede, quindi, gli studi classici come patrimonio da consegnare a tutti, anche chi non fa latino e greco. Le lingue classiche aiutano a essere più coscienti del valore della nostra lingua depositato nelle parole che utilizziamo. «I nostri ragazzi hanno bisogno di padri che consegnino non pezzi di pietra ma pane, qualcosa di cui potersi nutrire... I testi classici parlano dell’eterno».
Un’applicazione di questo? Lo ha spiegato al convegno Giampiero Bergami, di Unicredit Banca: c’è una stretta connessione tra il tradurre greco e latino e il pensiero strategico nel mondo del business: «La prof che dice: “Prima di iniziare a tradurre leggere attentamente tutto il testo della versione” ribadisce uno dei pilastri delle regole di approccio al business, agli affari. Tradurre dal latino e dal greco imposta gli elementi di analisi indispensabili per affrontare una strategia».
Come va la riforma? Secondo la Ugolini, «è presto per dirlo e poi dipende dai singoli presidi e professori, da quanto decidono di implicarsi con il loro lavoro». Che può essere uno dei più belli al mondo.