DIESSE Così la scuola cambia faccia

Due giorni di lavoro con oltre 500 insegnanti, che contengono una sfida alla riforma dell’istruzione: non l’ennesimo progetto da applicare, ma un’umanità che si mette in moto
Gianni Mereghetti

L’educazione? È un incontro. Questo il cuore del convegno annuale dell’associazione Diesse, la “Convention Scuola ’09. Vedere, partecipare, comunicare” (Pesaro, 24-25 ottobre), cui hanno partecipato oltre cinquecento insegnanti. Un appuntamento davvero decisivo, nella vita scolastica del Paese, che ha avuto il suo perno negli interventi di Monica Poletto, presidente di CdO Opere sociali, e di Giancarlo Cesana, docente all’Università degli studi di Milano Bicocca.
La sfida portata al mondo della scuola è stata ancor più diretta e determinata. Una sfida a ritrovare la libertà come condizione necessaria dell’educazione e dell’insegnamento, mettendo in gioco l’umano come leva della libertà. Per questo, il convegno non è stato il ritrovarsi di tanti specialisti affannati ad elaborare l’ennesima utopia scolastica, ma l’incontro tra chi già vive un’esperienza di educazione. E sa che solo a partire da lì si può aprire una strada realmente nuova, su cui percorrere l’affascinante avventura dell’educazione come liberazione dell’umano.
In questa direzione, la novità più significativa sono state le “Botteghe dell’Insegnare” - veri e propri momenti di lavoro tra insegnanti sui contenuti e i metodi delle loro discipline - e la “Piazza della Didattica”, ossia l’offerta di strumenti per l’affronto dell’insegnare. Due novità che hanno messo in evidenza un ribaltamento di una modalità d’affronto delle questioni scolastiche, che ha segnato negativamente la scuola per anni: proprio perché l’educazione è un incontro, il punto non è un progetto di scuola da applicare, ma un’umanità che si mette al lavoro. Il convegno di Diesse ha fatto emergere una cosa molto semplice: dentro la scuola è capace di lavoro e di creatività solo un insegnante che parta dalla sua umanità. Chi invece parte da un’idea - anche perfetta - della scuola che ci sarà, passa il tempo a lamentarsi o chiede all’istituzione delle direttive da applicare.
È questo il dramma della scuola: se gli insegnanti non partono da sé, sono delusi o si riducono a mediocri burocrati. Il convegno ha mostrato sul campo, attraverso le sue Botteghe, che c’è un nuovo tipo di insegnante, quello che mette in gioco la sua umanità e a partire da lì imposta ciò che insegna. È una pietra tombale sull’ideologia che ancora invischia tanti professori, mostrando che c’è una possibilità nuova e affascinante, quella di diventare protagonisti dell’insegnamento e non cinghie di trasmissione di una cultura dominante.
Per questa ragione, l’iniziativa di Diesse lancia una sfida alla riforma della scuola. Dalle Botteghe viene una indicazione chiara di come dovrebbe essere il lavoro di riforma: non l’applicazione di progetti costruiti a tavolino, ma insegnanti che si mettono insieme e si chiedono come la propria disciplina faccia crescere la conoscenza di ogni studente. S’è visto che la strada del lavoro può essere imboccata, perché già tanti professori sono in azione a partire da un ripensamento dell’insegnamento disciplinare come un fattore del cammino di crescita dello studente. Con la fine della scuola come palestra dell’ideologia, è finita anche l’idea della disciplina scolastica come ambito fine a se stesso, quella per cui ogni insegnante fa della sua materia il tutto. Da qui, una prospettiva del tutto nuova: quella in cui ogni insegnamento è un mattone nella costruzione dell’io.
È la riscoperta dell’umano, quindi, a mettere al lavoro sulle materie. Per questo, è auspicabile che il ministro Gelmini - che, inviando un saluto, ha aperto i lavori sabato 24 - abbia compreso la novità che quest’anno Diesse ha lanciato, e la valorizzi nel lavoro di questi mesi per definire la scuola della riforma. Diesse non ha voluto dare al ministro nuove e più geniali idee, ma ha fatto presente che vi sono tanti insegnanti che, in quanto protagonisti nella loro classe, hanno voglia di lavorare per cambiare la faccia alla scuola. A questo punto, tocca al ministro decidere se puntare o meno sulla libertà degli insegnanti. E sulla loro decisione a lavorare, per rendere ciò che insegnano un’occasione di crescita dell’umano.