«Il cuore dell'istruzione? Sono gli insegnanti»

L'"Economist" presenta una ricerca sul sistema educativo di 50 Paesi. Un indicatore su tutti: la qualità dei prof. Dallo "status" professionale alla formazione. Ma il successo scolastico «non dipende dai nuovi provvedimenti governativi»...
Francesco Magni

L'Economist Intelligence Unit ha presentato nei giorni scorsi a Londra una ricerca dal titolo The Learning curve sui sistemi educativi di 50 Paesi. Lo studio ha come principale obiettivo quello di supportare politici, dirigenti scolastici e ricercatori universitari nell’individuare i fattori chiave del miglioramento della scuola.
L'idea di fondo è che, per quanto sia difficile da quantificare, c'è un collegamento evidente tra le conoscenze e le competenze con cui i giovani entrano nel mondo del lavoro e la competitività economica. La ricerca è corredata da un ampio database pubblico e open source con interessanti indici comparativi. L'Italia si colloca complessivamente al 24esimo posto in classifica, guidata da due Paesi - Finlandia e Corea del Sud - che, con sistemi educativi totalmente diversi sono però accomunati dalla grande importanza attribuita all'insegnamento: in particolare entrambi reclutano gli insegnanti tra i migliori laureati, valorizzando poi con un adeguato riconoscimento sociale il loro ruolo. Tra gli innumerevoli spunti di riflessione che The Learning curve offre, vorrei soffermarmi su quest’ultimo aspetto e, nello specifico, su quali siano i fattori che, a detta di questo studio, contribuiscono ad avere all’interno di un sistema scolastico insegnanti di qualità.

Innanzitutto la ricerca dell’Economist afferma un punto sul quale c’è ampia convergenza di opinioni tra gli esperti del settore: per un buon sistema d’istruzione uno degli elementi che più conta è la qualità degli insegnanti, che si ripercuote nel lungo periodo anche sul futuro lavorativo e occupazionale dei giovani discenti.
In secondo luogo "sfata" un possibile mito: non necessariamente a un aumento di stipendio degli insegnanti consegue un miglioramento del sistema. «Certo questi ultimi devono essere ben pagati - come chiarisce Paul Cappon (presidente del Canadian Council on Learning) - ma questo fattore impallidisce con gli altri che abbiamo preso in considerazione». E quali sarebbero questi altri indicatori? E, soprattutto, come fare per avere buoni insegnanti nelle scuole?
Innanzitutto è necessario attrarre i migliori laureati verso la professione dell’insegnamento: è da qui, infatti, che comincia un efficace sistema di reclutamento.
(Non è questa la sede per commentare le note - e tragicomiche - vicende dei test per il Tfa e del prossimo "concorsone", che sarà contraddistinto dalla lotteria dei "quizzettoni"…). In tale operazione anche il salario gioca un ruolo non indifferente, ma è innanzitutto lo status assegnato a tale professione (in primis a livello di riconoscimento sociale) a incidere maggiormente. In secondo luogo bisogna fornire agli aspiranti insegnanti la giusta formazione, sia "iniziale" sia nel corso della loro carriera professionale. E qui veniamo al terzo elemento: occorre considerare i docenti come dei professionisti, favorendo al massimo il loro continuo aggiornamento professionale e la loro autonomia, che sono due «potenti incentivi per migliorare i risultati di apprendimento», come osserva William Ratteree, dell’International Labour Organisation.

Tutte queste considerazioni, però, vanno sottoposte a due importanti nota bene conclusivi.
Il primo, sottolineato dal professor Hanushek (Stanford University), è che i sistemi d’istruzioni sono locali, così come lo sono i loro problemi e le loro soluzioni. Certo aumentare l’autonomia e la libertà di scelta sono direttive sempre valide. Ma ogni Paese ha i suoi nodi da sciogliere, le sue caratteristiche ecc… Come i diversi approcci di Finlandia e Corea del Sud dimostrano, ci possono essere strade molto diverse per raggiungere un sistema formativo di successo.
Il secondo nota bene è di carattere ancor più generale: nella ricerca delle soluzioni normative da offrire, è necessaria una grande dose di umiltà e di prudenza poiché, come osserva il professor Woessmann (University of Munich), «un sacco di cose che determinano il successo scolastico non sono suscettibili, non sono condizionabili semplicemente con dei nuovi provvedimenti governativi». Insomma, delle buone leggi possono favorire o meno il sistema d’istruzione, ma bisogna guardare innanzitutto a quel che succede «nelle famiglie e nella società». E a tal proposito può forse essere utile ricordare una celebre affermazione del Presidente americano Theodore Roosevelt, che ben si adatta al mondo della scuola, in particolare in Italia: «È difficile migliorare la nostra condizione materiale attraverso la migliore delle leggi, ma è molto semplice peggiorarla con cattive leggi».