Volontarie Meeting alla vendita dei biglietti.

«Scusi, le interessa il catalogo?»

In giro tra i padiglioni della Fiera di Rimini a vendere cataloghi e biglietti della lotteria. Non è questo il lavoro che speravano di fare, e invece... Il Meeting raccontato dagli occhi di alcuni ragazzi e professori di Gs
Stefano Giorgi

«Dove andiamo in vacanza?». È l’inizio di giugno e si può, in famiglia, cominciare a pensare all’estate che sta per iniziare. «A me piacerebbe andare a lavorare con i nostri ragazzi di Gs al Meeting», «Anche a me, tantissimo». Così con mia moglie Paola (anche lei insegnante in quel di Monza) decidiamo di proporre a un gruppetto di ragazzi di Gs della comunità di Monza e Brianza (insieme a Luca e Valeria, giovani insegnanti) di vivere l’esperienza del Meeting attraverso il “volontariato”.

Siamo, alla fine, in 24: noi quattro insegnanti, e 20 ragazzi di Gs. Dove ci manderanno? «A me piacerebbe tanto nelle pulizie…». «A me al servizio nelle sale degli incontri». «A me nella ristorazione». Finiamo alla promozione: inizio alle 9.30 con la recita dell’Angelus e tutti insieme intorno ai tavoli per assemblare le copie di Avvenire a quelle del Quotidiano Meeting e poi in giro per la Fiera a distribuire ai visitatori, e per riempire le varie postazioni di programmi e piantine del Meeting. E poi? Il catalogo! Ci dice Roberto, responsabile dell’ufficio promozione, che il catalogo può essere visto come uno strumento offerto a quelli che incontriamo per aiutarli a capire, e quindi a vivere, il Meeting. Sarà vero? Proviamo: a due a due in giro per la Fiera a vendere, incontrare, spiegare e poi il ritorno alla “base” per il rifornimento con i soldi delle vendite, i resi, le domande, i record (il lunedì abbiamo venduto 1300 cataloghi, tra primo e secondo turno) e i racconti: un dialogo continuo tra noi per non lasciare cadere nulla.

Dopo i primi giorni a questo si è aggiunta la distribuzione dei fogli per la raccolta firme dell’Appello per i cristiani perseguitati e la vendita dei biglietti della lotteria. Finito il turno, gli altri amici con cui andare a qualche incontro, le mostre. Il pranzo ricchissimo di domande dei ragazzi con Vincenzo Casella, il giorno dopo la presentazione del libro su Francesca, sua moglie, per vedere come la sua esperienza poteva aiutarci di più dentro quello che stavamo facendo… il ritorno in albergo insieme carico sempre del desiderio di condividere che cosa ci era successo nella giornata. Un’avventura, non scevra di fatiche.

«Devo ammettere che appena ho saputo che il nostro lavoro sarebbe stato quello della promozione», racconta Chiara che ha appena finito il liceo scientifico. «Il mio entusiasmo si è un po’ abbassato perché pensavo di non essere in grado di farlo e quindi c’erano dei giorni in cui non vedevo l’ora che arrivasse il Meeting, ma altri che speravo in un cambio di lavoro. All’inizio della settimana non ero molto convinta e quindi non davo tanta importanza alla vendita dei cataloghi e anche se gli altri mi dicevano di insistere io rimanevo più ferma sui “no” ricevuti rispetto ai “si”. Dopo qualche giorno, l’amicizia con Margherita mi ha aiutato ad affrontare in un modo diverso le giornate e il nostro lavoro. Un giorno eravamo riusciti a vendere un biglietto della lotteria ad una signora e io, come dicevo a tutti, le ho augurato la buona fortuna; la sua risposta è stata: “La mia fortuna è stata trovare questa compagnia”».

Racconta Tommy «Il lavoro che facevamo comprendeva anche e soprattutto l’esperienza dell’incontro, della relazione con le altre persone; quello che mi ha colpito è la naturalezza e la libertà che avevo nel chiedere e che avevano tutte le altre persone nel rispondermi. Un episodio che mi ha colpito, che in realtà non c’entra molto con il lavoro, è accaduto mentre io e Torre aspettavamo il treno per tornare a casa. Avevamo la maglietta del Meeting e una signora è venuta a chiederci cosa ne pensavamo, se avevamo lavorato, se ci era piaciuto e così via. A un certo punto lei ci ha detto che non era del movimento, ma che veniva al Meeting da tanti anni e che rimaneva sempre contenta dell’esperienza di apertura che vedeva. L’esperienza di questa signora, invece, è testimonianza del fatto che l’esperienza che si fa al Meeting, se vissuta con serietà, è vera per tutti».

Giovanni scrive: «Don Pino all’assemblea dei volontari ci ha sfidato a non guardare a ciò che riusciamo a fare, quanto a chiedere che accada Cristo in ciò che faccio che può anche essere una cosa semplice come vendere cataloghi e biglietti. Questo mi ha colpito perché la tentazione è giudicare un’esperienza in base a quanto sono riuscito a fare. Infatti, quando vendere è diventato molto difficile, l’entusiasmo dei primi tre giorni è venuto meno e il mercoledì ero abbastanza sconsolato perché vendevo pochissimo. Quel pomeriggio una giornalista di Tracce spagnolo ci ha intervistato e alla prima domanda: «Perché siete qui?», non sapevo rispondere. Poi tutto il giorno continuavo a pensare a quella domanda. Poi, mentre Vincenzo ci raccontava la sua esperienza, ho provato invidia per lui, perché lui riusciva a stare davanti alla morte di sua moglie con uno sguardo positivo perché il suo punto fermo e la sua certezza è Cristo. Ho ripensato alle parole di don Pino e allora invece di pensare a quanti cataloghi riuscivo a vendere chiedevo di avere la stessa certezza che aveva Vincenzo perché lui, con quella certezza, riesce a essere felice nonostante la morte della moglie. Sono andato al Meeting gli ultimi tre giorni con la speranza e la voglia di incontrare quella certezza, purtroppo non l’ho incontrata, ma solo cominciando la giornata con una speranza ero più felice».

Al ritorno, Filippo dice: «Sono partito per il Meeting di quest’anno fondamentalmente con quest’idea: una settimana a Rimini con miei amici, mi faccio il Meeting alla grande, sono lì a lavorare, mi diverto. Finito l’entusiasmo del primo giorno, l’approccio con il lavoro si è fatto più duro: andare in giro a vendere cataloghi a un euro, che la gente non vuole neanche sentire nominare, non si è rivelato molto divertente. Anzi, demoralizzante. Sono lì a vendere cataloghi che nessuno vuole: il mio lavoro è inutile. E non è che pensare che, anche se vendo un solo catalogo, ciò è un contributo al Meeting e a quello che è il Meeting rappresenta... Tutte cose vere, ma dopo una giornata con in mano un catalogo ti rompi lo stesso. Mi ricordo una cosa detta da don Pino: «Viviamo questi giorni e questi momenti di lavoro guardando ogni attimo come possibilità d'incontro con Cristo». Quindi mi chiedo: «Che cosa vuol dire che io, nel momento in cui provo a vendere un catalogo a una signora che neanche mi ascolta, ho la possibilità di incontrare Cristo? Cosa vuol dire incontrare Cristo?». Questa è la domanda che mi ha accompagnato durante la settimana. Non so una risposta a parole, non c’è una risposta schematica. Tuttavia, fare lo stesso lavoro del giorno prima cercando di verificare quella domanda ha cambiato il lavoro. È cambiato il senso del lavoro: non che andassi in giro cercando apparizioni, o segni particolari, ma andavo a vendere i miei cataloghi curioso che potesse accadere qualcosa, un incontro, “ogni attimo”, che potesse aiutarmi a rispondere a quella domanda. In altre parole, il vendere cataloghi è diventato, da lavoro inutile, possibilità di capire di più ogni cosa, che si è estesa ad ogni momento della giornata, dall’andare a vedere le mostre alla sera in albergo. La cosa che porto via dal Meeting non è una risposta precisa alla domanda, ma la speranza che tale domanda sia verificabile nella mia realtà quotidiana. Questo Meeting mi ha fatto capire l’importanza di una compagnia che mi sostenga in questo, di amici che mi aiutino a guardare ogni attimo delle mie giornate tenendo presente quella domanda»

Il Meeting è finito, ma l’avventura continua, dentro quello che, con curiosità, ci troveremo ad affrontare.