«Vogliamo dire la scuola che c'è»

«Uno schiaffo salutare» è il risultato dell'inchiesta che alcuni liceali hanno messo in piedi. Duemila interviste attraverso un questionario. A scuola, meglio vivere e sopravvivere? Dentro alle percentuali, un essenziale positivo da cui ripartire
Paolo Perego

«Vogliamo dire la scuola che c’è. Non solo come dovrebbe essere. E com’è, è bella». Così eccoli, un gruppo di ragazzi da varie scuole di Milano, a raccontare dal palco dell’Auditorium della Provincia, martedì 6 maggio, i risultati di una “piccola” inchiesta che hanno messo in piedi qualche mese fa, all’inizio dell’anno scolastico. E lo fanno a pochi giorni dall’incontro di papa Francesco col mondo della scuola. Iniziamo a parlarne qui, ma un racconto più dettagliato potrete trovarlo sul prossimo numero di Tracce.

«La scuola è solo quella che luoghi comuni, giornali e televisione dipingono? Istituzione fatiscente piena di ragazzi svogliati e professori cinici senza attese? Non è quello che viviamo noi», spiegano introducendo il loro lavoro. Si sono trovati, piccoli redattori dei giornalini scolastici del Liceo Carducci, classico statale, del Leonardo, scientifico statale, e dell’istituto paritario Sacro Cuore. Uniti dall’hashtag #scuolaincorso. Sono partiti con interviste faccia a faccia, andando davanti a quindici scuole milanesi alla fine delle lezioni. Per poi passare al metodo del questionario, distribuendone duemila copie ai loro colleghi. Domande su tutto, dalla didattica alle strutture. E una in testa, ad aprire la serie: «A scuola, meglio vivere o sopravvivere?».

Un plebiscito: «Quasi tutti scelgono il vivere», spiegano Bernardo e Riccardo presentando i risultati: «Non c’è cinismo. Anzi, da uno a dieci il grado di “soddisfazione” per la propria scuola ha una media del 7 e mezzo. Stessa media per il voto che gli studenti danno ai loro prof». Nessuno è cieco, le carenze ci sono: «Ma questi dati, tra gli altri che abbiamo raccolto, dicono molto. Come le risposte a cosa i giovani chiedono alla scuola e dove l’ordine di importanza delle priorità è “un bagaglio culturale per affrontare la vita” (45%), la possibilità di vivere dei rapporti (34%), la formazione al lavoro (18%), mentre pochissimi la vivono come obbligo da espletare (3%)». Emerge un positivo, e a partire da questo la scuola si può ristrutturare: «L’essenziale per farlo già c’è», dicono i ragazzi alla platea di coetanei e professori andati ad ascoltarli. «E c’è il desiderio di molti che quelle quattro mura, dove alla nostra età si passa tanta parte della vita, diventino una seconda casa, ovvero un luogo dove essere se stessi e andare a fondo delle proprie passioni».

Come per Alessandro, del Carducci, che partendo dalla meraviglia nata dalla lettura dell’Idiota di Dostoevskij propone un incontro a tutta la scuola, iniziando un dialogo con la sua prof italiano in cui è costretto a dare ragione di quello che lo ha colpito. «Un fatto che nasce, all’ultimo anno del liceo, non da una predisposizione personale, ma da un metodo di approccio allo studio imparato in cinque anni». E che la vita “chiede” di avere a che fare con la scuola lo racconta anche Chiara, che partendo da un dialogo con la signora Rosa, filippina, che fa le pulizie a casa sua, con i parenti colpiti a novembre scorso dal tifone Hayan in patria, si mette in moto per una raccolta di fondi nel suo istituto, il Sacro Cuore, organizzando uno spettacolo teatrale e una cena, «e trovando una compagnia e un entusiasmo contagioso che mai mi sarei aspettata dai compagni».

Altri esempi e aneddoti per un’ora riempiono la sala della Provincia. Dalla scuola aperta del Leonardo, alla caritativa con i disabili del Moreschi, o all’esperienza del Donacibo, raccolta di viveri per i poveri, in alcune scuole. «Tutto questo parla al mio modo di insegnare», commenta Susanna Mantovani, docente della Facoltà di Scienze dell’Educazione alla Bicocca di Milano: «Forse è legato al tempo in cui viviamo, con la crisi che lo ha fatto emergere. Ma c’è un elemento positivo. È innegabile. Anche tra gli insegnanti. La scuola è bella». E chiede di averne cura. Agli insegnanti, intanto, che devono essere competenti e professionali. E alla società: «Se non curiamo la scuola il messaggio che passa è che voi, alla vostra età, in fondo, non siete importanti. E non parlo solo di fondi», spiega ai ragazzi.

Le fa eco Luca Doninelli, scrittore e giornalista, al quale i ragazzi chiedono il perché del suo stupore davanti ai risultati del loro lavoro: «È uno schiaffo salutare. Ai luoghi comuni, alla nostra pigrizia per cui tante volte non ci accorgiamo delle cose stupefacenti che ci accadono davanti agli occhi. Una bellezza in atto, che è in grado di farsi carico dei bisogni di tutti». E per cui le ombre, che pur ci sono, non sono l’ultima parola.

«Non possono esserlo», conclude Bernardo: «Come per quel ragazzo di un professionale che manifestava davanti alla scuola fatiscente con la foto del buco nel soffitto sopra il suo banco. Cosa diceva, se non che quello che accade sotto quel buco gli interessa davvero? Che gli interessa vivere, in quella classe. Il primo investimento da fare è su quel ragazzo, sull’io. È quello il capitale di speranza da cui ripartire».