I giochi durante la vacanza a La Thuile.

«E gli occhi son diventati color del cielo...»

Cinquecento ragazzi da Monza Brianza e Veneto in vacanza in Val d'Aosta. Con la domanda: cos'è Gioventù Studentesca? E la risposta che nasce dai giochi, dai canti e dalle testimonianze. Tutto, per «lasciarsi attrarre da Chi attrae»
Filippo Grassi

Dal 4 al 9 Luglio cinquecento ragazzi dal Veneto e dalla Lombardia (Monza e Brianza) si sono ritrovati a La Thuile per vivere insieme la vacanza di Gioventù Studentesca. Alberto Bonfanti, responsabile di Gs e presidente di Portofranco, è stato invitato per fare una testimonianza all’inizio dei giorni di convivenza. «Noi abbiamo il desiderio di scoprire cos’è Gioventù Studentesca», dice Stefano, il professore che guida la vacanza. La risposta è semplice: «Gs è un gusto nel vivere. Durante l’ultima parte della sua vita ho avuto l’opportunità di vivere con don Giussani: a più di 80 anni, malato, egli aveva gli occhi di una vivacità, di una curiosità e di una giovinezza stupefacenti; era davvero interessato a tutto ciò che accadeva nel mondo e a tutte le persone che gli stavano accanto ed era amante del ridere e del buon cibo. Ma da dove proviene questo gusto del vivere? È un’esigenza che ognuno di noi ha che nasce dallo stupore per la realtà».

Michele, in vacanza con Gioventù Studentesca per la prima volta, testimonia questo stupore: «Ho deciso di venire su invito di un mio amico; ero contento perché avrei visto per la prima volta il Monte Bianco. Appena arrivato, però, ho notato che il Bianco era coperto: ero dispiaciuto ma poi ho abbassato gli occhi e ho visto nello sguardo di ognuno di voi qualcosa di veramente unico, una bellezza sconfinata, la bellezza che cercavo».

Matteo ha partecipato al coro: «La cosa che mi ha reso più felice quest'anno è stata cantare; i diversi cori a cui ho partecipato sono davvero stati il punto fermo delle mie giornate. Così, volevo portare la bellezza del canto anche in “vacanzina”, in una serata in cui i canti venissero insegnati a tutti. Se c’è anche una sola persona a cui due minuti di canzone cambiano la giornata allora vale la pena di fare questa cosa». Lo stesso dice Anna: «Nel canto ho incontrato una cosa così bella che voglio condividerla con gli altri».

È impossibile dubitare che l’esigenza di bello e di vero appartenga al cuore di ogni uomo dopo l’incontro con Mina, Monica e Valeria, tre ragazze copte ortodosse di origine egiziana venute a presentare la mostra che Swap, la comunità di cui fanno parte nata attorno al professor Wael Farouq all’Università Cattolica di Milano, porterà al Meeting di Rimini di quest’anno. I ragazzi raccontano momenti di convivenza tra cristiani e musulmani durante le due rivoluzioni egiziane e storie di uomini coraggiosi che hanno combattuto per i loro diritti durante quel grave momento storico: davvero il cuore di tutti vibra alla ricerca di un bene e di un significato per la propria vita.

«Gioventù Studentesca» ha continuato Alberto, «è ciò che spalanca a questo gusto del vivere, allo stupore per il reale, ma la strada è un cammino che implica una decisione, quella di lasciarsi attrarre da ciò che attrae», quella cioè di puntare sull’attrattiva di ciò che si vede senza frapporre tutti i propri schemi e le proprie idee. Per fare ciò bisogna semplicemente seguire, dicendo sì a ciò che ha destato questo stupore. «Sì», la risposta di Violaine, la protagonista de L’annuncio a Maria di Paul Claudel, presentato durante la vacanza, che, di fronte a tutto il male e le difficoltà con cui deve scontrarsi, «tutta pronta, segue la mano che prende la sua». Alla fine di una serata di balli, guidati dal coro e da alcuni ragazzi, Stefano sale sul palco: «Questa sera abbiamo sperimentato che l’unico modo per essere felici è seguire». Tutti coloro a cui è stato chiesto se hanno sperimentato questo durante la “vacanzina” hanno risposto decisamente di sì.

Marta ha deciso di aiutare a preparare i giochi e si è ritrovata con molte persone che «non c’entravano nulla con me, ma eravamo assieme perché seguivamo delle guide affascinanti che ci aiutavano a guardare al bello. Tutti eravamo proprio tesi al fatto che i giochi fossero belli, così l’uno seguiva l’altro». Anna racconta di aver scelto di fare il coro perché «seguire chi mi aiuta a cantare è ciò che mi permette di alzare gli occhi dal suolo per guardare il cielo, che è più bello, come si vede nella scena del film 12 anni schiavo che ci hanno fatto vedere (il brano del funerale è Roll Jordan Roll). È proprio vero che quando io seguo Mariachiara (la direttrice), che ci dice sempre di cantare con tutti noi stessi, anche con il nostro corpo, alla fine sono più felice». Caterina conferma: «Io mi vergogno molto a ballare insieme ad altre persone, ma ieri sono davvero stata alla proposta, ho seguito le ragazze venete che ci insegnavano la loro danza ed è stato davvero un guadagno, una convenienza».

Attraverso la sequela, continua Alberto, questo gusto del vivere apre al significato delle cose, cioè ad una presenza che non ci lascia mai soli. Come racconta Marta: «Se davvero sono leale con me stessa vedo che c’è sempre qualcuno pronto a camminare con me. Durante una gita mi sono trovata in un gruppo in cui ero l’unica della mia scuola, finché si è avvicinata a me una ragazza del Veneto che avevo visto una sola volta tre settimane prima quando ero andata a Verona a preparare la “vacanzina”. Questa ragazza si ricordava il mio nome e mi ha detto che l’ipotesi con cui lei era venuta era una cosa che avevo detto io quando ci eravamo incontrate». Stefano, alla fine della vacanza, fa il punto dell’assemblea del giorno precedente: «Da questi giorni capiamo innanzitutto che il gusto del vivere è qualcosa che non ci diamo noi, ma che ci viene incontro e ci prende».

Così Giuseppe, dopo dieci mesi a Londra, non capiva perché valesse la pena di andare in vacanza avendo quasi perso i contatti con i suoi amici in Italia. «Eppure qui mi sono accorto di una familiarità straordinaria con persone che nemmeno conoscevo». La stessa esperienza che ha fatto Anna: «Qui mi trovo a casa, questo è il posto giusto per me. Un giorno sono stata male e non sono potuta andare a pranzo, così i miei amici mi hanno portato da mangiare in camera. Io non ero sola mentre ero nel letto, malata, perché i miei amici mi pensavano e non aspettavano altro che me».

Veronica ha appena finito il primo anno di superiori ed è stupita dal modo in cui sono stati preparati i giochi: «Tutto era curato nel minimo dettaglio, erano proprio stati fatti per noi». Oppure un’altra Anna: «Io non sono per niente una sportiva, ma il giorno dei tornei il capitano della mia squadra è venuto a dirmi che dovevo giocare a beach volley. Così sono stata sostanzialmente costretta a giocare ed è stato bello: davvero mi sono resa conto che per vivere con gusto non ci sono condizioni o prerequisiti».

Alberto conclude con la storia di Edimar: un menino de rua, capo di una banda di delinquenti di Brasilia, che, dopo l’incontro don un insegnante di Comunione e Liberazione, viene lentamente afferrato dall’attrattiva della nuova compagnia che ha incontrato, finché un giorno, rifiutandosi di uccidere come gli era stato ordinato, viene assassinato a sangue freddo. Durante un viaggio in treno un’insegnante gli aveva letto una poesia: «Dopo aver guardato a lungo il cielo in cerca di te, i miei occhi, da scuri che erano, sono diventati azzurri». Edimar aveva chiesto: «Ma è possibile che anche i miei occhi diventino azzurri?», e l’insegnante: «Se tu continuerai a stare nella nostra compagnia, certamente». Con la sequela inizia a battere in noi un cuore nuovo e i nostri occhi scuri diventano gli occhi chiari che ci hanno guardato con carità.

Elia ha incontrato Gs da un anno e dice di essere cambiato grazie a questo sguardo: «Dopo un po’ mi sono reso conto di aver iniziato a guardare come i miei amici hanno guardato me». Oppure Filippo: «All’inizio dell’anno ero arrabbiato, deluso e sentivo tutto come ostile. Una mia compagna però mi si è seduta di fianco e si è presa cura di me, finché ho lentamente iniziato a vedere il mondo nel modo così desiderabile in cui lo guardava lei».

Alberto ha concluso così la sua introduzione: «Occorre un cammino lento, costante, per lasciar entrare in noi ciò che ci attrae, per arrivare a scoprire che quel che ci attrae in tutto quel che ci attrae è Cristo». Chi rimane e chi prende sul serio il proprio desiderio di essere felice, volendosi veramente bene, prima o poi vede. Nelle sue conclusioni Stefano ha ricordato che questa è stata la promessa che padre Josè Medina ci ha fatto durante il Triduo pasquale: «Cristo ha promesso che chi entra dentro questo rapporto riceve il centuplo, una vita nuova. Questa è la verifica. Vi assicuro che è vero».

Una promessa che ha già iniziato a compiersi nei giorni della vacanza e che, per gli avventurosi che sono veramente affezionati a sé, andrà verificata nella propria quotidianità.