Il monte Cervino.

Una breccia aperta dal cannone

Andrea racconta la bellezza dei giorni trascorsi a Cervinia. Gite, giochi e testimonianze, aiutatati dalle continue provocazioni dei responsabili. Ora la vacanza è finita, ma il lavoro continua: «Quello che abbiamo vissuto, vale per la vita?»

È stata la storia dell'amicizia tra due uomini ad accompagnarci in questi giorni di vacanza. Persone appartenenti a mondi diversi, ma legate dallo stesso desiderio, conquistare la vetta del Cervino.
Jean-Antoine Carrel, italiano, ed Edward Whymper, inglese, furono infatti i primi due alpinisti a raggiungere, nel 1865, la cima della montagna che il Beato Giovanni Paolo II definì «la più bella cattedrale del mondo». Anche noi abbiamo vissuto questi giorni inseguendo la stessa disarmante bellezza.

Così è incominciata la nostra vacanza. Ad accoglierci la storia di Roberto, padre di Giacomo, un ragazzo di Legnano morto l'anno scorso, poco tempo dopo aver incontrato la nostra compagnia. Non è stato un momento di compianto, una commemorazione, bensì il racconto di una vita cambiata da un fatto eclatante, la scomparsa del proprio figlio. Roberto, cristiano per tradizione, avrebbe potuto sicuramente bestemmiare per un fatto così inspiegabile e chiudersi in una ricerca infinita di motivazioni. Invece racconta: «Mi sono inginocchiato e ho pregato per Giacomo, perché il suo destino fosse compiuto, perché diventasse santo». Da qui la sua conversione, da qui l’incontro con il movimento. Parla con voce rotta dalla commozione per una ferita che non lo abbandona, e che lui stesso si ritiene «grato di possedere».

Per me è stato subito un colpo al cuore. Un’apertura sulla vita nuova e diversa, che non esime dal considerare la realtà in tutti i suoi fattori, intuendo che, in ultima analisi, essa è buona, com’è buono Colui che ne è Padrone.

Il mattino seguente la sveglia era all’alba, tutti pronti per la gita. Siamo saliti in silenzio, divisi in quattro gruppi, lasciandoci stupire dalle vette innevate che si stagliano a est di Cervinia e che hanno accompagnato il nostro cammino fino al rifugio Duca degli Abruzzi, a 2.800 metri. Da qui avremmo potuto ammirare il Cervino in tutta la sua grandezza, se non fosse stato per la nebbia, che ha velato il paesaggio impedendone la vista. Allora, un nostro responsabile ci ha subito richiamato, sfidandoci a non dubitare della bellezza di quel monte, poiché essa c’è ed è indubbio che ci sia, sebbene al momento non la potessimo constatare con gli occhi. Così siamo scesi, intonando insieme alcuni canti alpini.

Martedì i giochi sono entrati nel vivo. Le quattro squadre (Inghilterra, Italia, Austria e Nepal), che la prima sera si erano presentate in sfilata, si sono date battaglia sui teli saponati, sfidandosi a scalare il Cervino in cordata e a conquistare la vetta contro ogni avversità. Il pomeriggio invece è lasciato al tempo libero. Ognuno di noi è stato quindi provocato a usare la propria libertà come dono, a non lasciare vincere l’indifferenza ma il fascino della vita. Alcuni hanno proposto e organizzato una camminata fino ad un nevaio, altri sono andati a fare rafting e chi ha voluto si è messo in gioco a calcio, basket, pallavolo e poker.
Quella stessa sera ci è stato proposto un lavoro fatto da alcuni di noi su Assassinio nella Cattedrale, di Eliot, testimoniandoci come certamente sia più facile «vivere e in parte vivere», ma quanto infine sia più conveniente la posizione umana di Tommaso Becket, santo martire del 1170 che, preso da Cristo, non ha esitato a morire per affermare la verità della sua vita, sconvolgendo quelle degli altri personaggi dell’opera, tanti pavidi animi senza apparente possibilità di cambiamento.

L’ultima gita si è svolta con qualche problema. Eravamo tanti e, a causa delle condizioni atmosferiche e della scarsa agibilità del sentiero, non siamo riusciti a raggiungere la cima. Ci siamo fermati prima, in uno spiazzo in pendenza in cui ognuno di noi ha dovuto fare i conti con la delusione di non essere arrivati in vetta. Un progetto che si scontra con la realtà. E proprio osservare che non ci era possibile proseguire oltre ci ha consentito di alzare lo sguardo e di ammirare, stupiti, le nevi sui monti di fronte a noi, tanto che un'amica non ha potuto fare a meno di chiedersi: «Che spettacolo, chi c’è dietro che li ha fatti così belli perché io possa goderne?».

Rientrati in hotel abbiamo fatto un aperitivo insieme, per confrontarci su come stesse procedendo la vacanza. I ragazzi di Cometa se la stavano godendo davvero. Come Benedetto: «Io sono partito da casa avendo in mente come doveva andare e invece non è come avrei voluto, ma mi piace». E Giovanni: «Preferisci una vita dove sai già tutto o una vita piena di mistero?». «Una vita piena di mistero. È più bella». Ancora Giacomo: «Per la prima volta ho seguito la messa e mentre il prete alzava l’ostia, durante la consacrazione, quando dice: "Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi", mi venivano in mente Antonella e Paolo, perché alla fine loro non è che hanno chissà quale vita, sono sempre con noi». Io desidero per la mia vita questa stessa semplicità.

La mattina seguente siamo scesi al Lago Bleu, dove, dopo mangiato, è stata celebrata la messa e ci siamo salutati.
Ora la sfida per queste vacanze è grande: verificare se ciò che è stato vissuto a Cervinia possa essere paradigma della vita quotidiana, come ci è stato detto, oppure se è stato soltanto un colpo di cannone sparato in aria, che prosegue senza aprire brecce, fino ad arrestarsi al suolo. Ognuno di noi adesso si senta chiamato in causa, non demandi a nessun altro questa verifica attuabile soltanto con la vita.
Andrea, Vigevano