In vacanza a Pontresina durante una gita.

«Come si fa ad avere quelle cose belle?»

Giuditta, seconda liceo scientifico, alle prese con un nuovo inizio. E Giovanni, professore che aiuta nello studio a Portofranco, con la nostalgia del Paradiso davanti a un fiore. Per entrambi i giorni a Pontresina hanno lasciato un segno

Prima di partire, ciò che mi impauriva di più era di interrompere la mia vita quotidiana (l’oratorio estivo, la famiglia...) per poi tornare e dover rincominciare tutto da capo. Fino all’ultimo ero molto indecisa, ma ciò che mi ha mosso è stata proprio la fiducia in chi mi ha fatto questa proposta. Questa esperienza l’ho vissuta sentendomi veramente “presa tutta”, come ha detto Giorgio Vittadini nella sua testimonianza. Mi sono sentita in famiglia, mi sono sentita voluta davvero bene e non ho altre parole per descriverti questo. Nella testimonianza di Mariella Carlotti sul Miguel Mañara mi ha colpito una cosa in particolare: il fatto che la vita è accompagnata non da infiniti desideri, ma da un desiderio infinito che è il desiderio di essere felice. Quello che mi ha lasciato a bocca aperta e quello che veramente mi porto a casa è stato il fatto di capire che Cristo si mostra a me non per un tuo sforzo, ma perché mi vuole bene. Un esempio reale di questo è stato l’essere circondata dai miei amici, da persone che mi vogliono bene, che mi hanno accompagnata in ogni singolo gesto anche nei momenti in cui, spinta dalla fatica, avrei abbandonato tutto. Finita la vacanzina, ho ricominciato la mia vita quotidiana, ma come posso non portarmi dietro tutta la bellezza vissuta che mi è stata donata? Tornare per me non è stato un iniziare di nuovo, ma un nuovo inizio.
Giuditta

Aurelio ed io chiudiamo la lunga fila dei ragazzi in gita verso il Roseg. «Giovanni», indicando dei fiori: «Come si chiamano? Non mi ricordo». Più avanti fermo il gruppetto perché, al margine del sentiero, si offrono al nostro sguardo i “non ti scordar di me”: che delicatezza, dico io e cominciamo a parlare e a interrogarci su questa parola. «Mi sapete dire cosa è la delicatezza?». Silenzio pensoso. «Ditemi un episodio della vostra vita in cui avete visto la delicatezza». Silenzio. «Ricordate un dipinto, nella storia dell’arte, in cui appare la delicatezza». Una ragazza: «La mano della Madonna sulla testa del piccolo Battista, nella Vergine delle rocce». Io ricordo, quand’ero professore e in classe leggevo i versi mirabili di Dante: «E par che sia una cosa venuta /da cielo in terra a miracol mostrare», d’aver chiesto ai miei alunni di leggerli bene e di consegnarli, come mio regalo, alle loro madri. Auguravo loro di guardarle, come Dante, Beatrice. E quando nei consigli di classe, chiedevo ad alta voce: «Avete ricevuto, signore, il mio regalo?». Alcune madri si guardavano e borbottavano, stranite. Mentre altre: «Molto bello, prof, mai sentite parole così delicate e belle». Si tratta di un miracolo, osservavo io. E così, mentre camminiamo, parliamo di delicatezza, di tenerezza e chiedo di cosa siano frutti queste cose belle. Silenzio. «Dell’amore», dico io. Poi mentre il gruppetto si sgrana, mi raggiunge un ragazzo e dice: «A me piacerebbe avere quelle cose nella mia vita». Che commozione avvertire in un ragazzo di 17 anni la nostalgia di quelle cose belle. Erano parole che nascevano in un cuore uguale a quello che Dio aveva fatto: un cuore per Sé, per le cose belle ch’Egli aveva fatte. Nascevano quelle parole da un breve, frammentato dialogo sui “non ti scordar di me”. Quasi un niente aveva evocato in quel cuore la nostalgia del Paradiso, delle cose belle. Un respiro regalato dalle cose di Dio, per un istante. Ho raccontato, a conforto, di vecchi che, a distanza di mezzo secolo, ricordano, con lacrime e voce tremante, volti e parole piene di amore e di delicatezza, mai scordati; volti che hanno la forza dei “non ti scordar di me”: nella fragilità, una strana potenza. Volti, che sul sentiero della vita, si offrono anche a te. E poi quel ragazzo chiedeva: «Come si fa ad avere quelle cose belle?». Ecco, io non ho mai dimenticato le parole di quel grande amico, cui devo tutto: «Bisogna sgranare gli occhi, bisogna avere gli occhi sgranati dei bambini». Questa cosa semplice, naturale nei bambini, più rara negli adulti, dobbiamo cercare, sorprendere in chi ci sta intorno. E, ogni mattino e quando pare di non vedere nulla, ripetere le belle parole di Padre Grandmaison: «Santa madre di Dio, conservaci un cuore di bambino, puro e limpido come acqua di sorgente». E ci invade lo stupore di ciò che esiste. E con quegli occhi si vede ciò che di è bello e vero e buono c’è e ce n’è a torrenti, come nella valle del Roseg.
Giovanni