Festeggiamenti negli Usa per la morte di Bin Laden.

A ognuno il suo santo

La morte di Bin Laden, la reazione degli americani, la beatificazione di Giovanni Paolo II: di fronte a quanto successo nei giorni scorsi, alcuni studenti di Gs di Milano hanno scritto un volantino, che hanno distribuito fuori da scuola. Ecco il testo

La straordinaria coincidenza di fatti di portata storica avvenuti domenica scorsa, 1° maggio, in contesti e luoghi diversi, per mano di personaggi che difficilmente avremmo immaginato recitare sullo stesso palco, non ci ha lasciato indifferenti.
Benedetto XVI proclamava beato il suo amato predecessore Giovanni Paolo II e un milione e mezzo di pellegrini partecipavano commossi e grati alla cerimonia.
In Pakistan, una squadra speciale dell’esercito americano eseguiva una missione segreta lungamente preparata che, dopo dieci anni di guerre e inutili ricerche, riusciva a stanare Osama Bin Laden. E lo uccideva. Appena appresa la notizia, migliaia di americani esultavano nelle piazze delle principali città, all’urlo «Giustizia è stata fatta», oltraggiando fotografie del leader di Al Qaeda.
Ci siamo trovati a disagio di fronte alle immagini delle isteriche manifestazioni di gioia per la morte di un uomo. Abbiamo rivisto in esse la sconvolgente reazione che in alcuni paesi arabi aveva acceso piazze terribilmente simili dieci anni fa, dopo il crollo delle Torri Gemelle.
Eppure giornali e televisioni sembrano non accorgersene, per dilungarsi in pur giuste analisi politiche. Si ripercorrono le tappe della lunga guerra al terrore; si ritrasmettono le rivendicazioni video dei terroristi accanto al messaggio di Obama alla nazione e al mondo intero.
Perché la gente esulta? Si parla di sconfitta del male, di un pericolo venuto meno, si annuncia che il tempo della paura è passato.
Abbiamo provato ad immaginarci un americano, di ritorno dai momenti euforici vissuti in piazza. Forse, anche lui, come noi, ha sentito le prime dichiarazioni della CIA su possibili ritorsioni e nuovi attentati terroristici. E si è di nuovo trovato solo con la sua paura.
Ma allora chiediamo: può un assassinio perpetrato a sangue freddo dall’altra parte del mondo ricostruire grattacieli distrutti e riportare in vita migliaia di vite tragicamente spezzate? È forse più lieve la mancanza o più pieno il cuore? E che cos’è, quindi, la giustizia?
Non possiamo accettare che la reazione a un fatto doloroso sia solo la rabbia e la sete di vendetta.
Non possiamo perché abbiamo visto e conosciuto uomini che questo dolore lacerante l’hanno sperimentato fino in fondo, che ancora oggi convivono con le fatiche della mancanza di una persona amata strappata ingiustamente. Persone come la vedova Margherita Coletta che, il giorno stesso in cui suo marito fu ucciso nell’attacco terroristico di Nassirya, davanti ai giornalisti, con il vangelo in mano, parlò di perdono. Come padre Christian, l’abate dei sette monaci di Notre Dame de l’Atlas, in Algeria - il cui martirio ha ispirato il film Uomini di Dio - che pregò davanti alla salma del capo del Gruppo Islamico Armato, che li avrebbe sgozzati di lì a qualche mese.
Che cosa può vincere la paura? Ci risuonano nelle orecchie le parole di papa Wojtyla all’inizio del suo pontificato: «Non abbiate paura: aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!» Sono parole ancora attuali: non abbiamo bisogno di sconfiggere il terrorismo, abbiamo bisogno di vincere la paura. Abbiamo bisogno della serenità che Giovanni Paolo II, con la sua vita, ci ha testimoniato.
Il fascino di questa serenità ha riempito le piazze di Roma e ha travolto anche noi.
Al nervoso tentativo di vincere la paura eliminando i propri nemici, noi preferiamo uomini liberi, che hanno realmente cambiato la storia, come il beato Giovanni Paolo II. A ognuno il suo santo.
Come ha detto padre Federico Lombardi dopo l’annuncio della morte di Bin Laden: «Nessun cristiano - cioè nessun uomo libero, diciamo noi - esulta per la morte di un uomo».
Maria Teresa, Lucia, Pietro, Maria Chiara, Martino, Maddalena, Simone, Teresa, Andrea