La mostra in Piazza Duomo a Milano.

«Io, egiziana, vi racconto l'Italia»

In Piazza Duomo decine di studenti spiegano la mostra sui “150 anni di sussidiarietà” presentata quest'anno al Meeting di Rimini. E chi li incontra trova in loro la stessa positività documentata nei pannelli: «Non ho mai visto ragazzi così lieti»
Pietro Bongiolatti

«Come può una ragazza straniera spiegarmi la storia del mio Paese? Me la guardo da solo». Randa ha 18 anni, è egiziana e musulmana. C'è anche lei tra i quaranta ragazzi di Portofranco - il centro milanese di aiuto allo studio - che spiegano la mostra sui “150 anni di sussidiarietà”, inaugurata al Meeting di Rimini dal presidente Giorgio Napolitano e allestita fino a venerdì 18 di fronte al Duomo di Milano. I suoi grandi occhi neri, sotto il velo arabescato, sono percorsi da un guizzo di orgoglio: «Gli faccio vedere io», pensa. Insiste fino a convincerlo e parte con la spiegazione. Fa del suo meglio, racconta tutto ciò che l’ha colpita: l’impegno di don Giovanni Bosco per i ragazzi dell’Ottocento, le banche popolari, l’Università Cattolica e i movimenti di resistenza al regime fascista, l’assemblea costituente e il boom economico. Fino alle cause dell’attuale crisi antropologica. E come lei non ci è caduta dentro, grazie a Portofranco, dove «ti vogliono bene per quello che sei, non per il voto che prendi». Il signore italiano la incalza, vuole capire meglio alcuni punti, e alla fine si arrende: «Mi hai fatto capire cos’è il mio Paese, mi hai raccontato cose che neanche io, italiano, sapevo. Grazie!».
Anche i numeri dicono del successo della mostra in città: «Domenica non avevamo visite prenotate, ma sono passati più di 1.200 visitatori» racconta Alberto Bonfanti, presidente di Portofranco. Ma il vero spettacolo sono i ragazzi che la spiegano. Un signore di mezza età, entrato per caso, alla fine è esploso in una domanda: «Ma chi siete? Voglio conoscervi! Non ho mai visto ragazzi così lieti e gioiosi».
Sulla carta d’identità tanti di loro hanno scritto egiziano, ecuadoriano o cingalese. «Ma io mi sento più italiano che egiziano», racconta Abdel, «e ho voluto spiegare la mostra per capire meglio la storia che mi lega agli amici che ho incontrato a Portofranco».
Matteo, invece, viene da Busto Arsizio, frequenta la terza liceo. Pure lui è qui per spiegare, ma anche per capire: «Durante gli incontri per le guide, un’universitaria ha detto che preparando la mostra ha trovato una convenienza per sé attraverso lo studio. Io sono qua per capire cosa voleva dire. Per la prima volta non sono stato obbligato a studiare, mi sono mosso per qualcosa che mi interessa, e comincio a vedere che tutto può essere così. Forse quella ragazza parlava di questo».
Marta frequenta la quinta di un liceo milanese e non impazzisce per la storia, «ma spiegare questa mostra a tutta la città è la cosa più utile che si possa fare, vista la crisi in cui siamo. Raccontiamo cosa ha veramente costruito l’Italia: persone impegnate con la realtà che avevano davanti, che si sono mosse per risolvere le crisi in cui si sono trovate a vivere».
Esattamente quello che accade sotto il tendone di Piazza Duomo, e sono in tanti ad accorgersene. Una pensionata alla fine della visita ha commentato: «Questa mostra e questi ragazzi sono la risposta positiva a coloro che fanno del disfattismo la propria regola di vita». O la studentessa di Filosofia, che ad un amico che le ha fatto da guida ha detto: «Voi siete il partito del “no proteste, sì proposte”. Ce n’è proprio bisogno». E ancora il manager, che ha sacrificato la pausa pranzo per vedere la mostra: «La sussidiarietà non la raccontate, la fate. Qui dentro si vede davvero muoversi quello che c’è scritto sui pannelli. Ce n’è bisogno, di questi tempi».