«La scuola? Io voglio godermela»

Il voto, il senso del dovere e l’esame di maturità. Fino alla domanda: «È tutto qui?». Parte così l'avventura di quattro liceali catanesi: «Chiedendo ai prof di non guardarci solo come sacchi da riempire con nozioni» (da "La Sicilia", 11/11/2012)

«Il voto, il senso del dovere, l’esame di maturità, le prospettive lavorative, i test d’ingresso universitari: È tutto qui?». È cominciata da questa domanda l’avventura di quattro liceali catanesi - Sara, Giorgio, Pierfrancesco e Angelo - che li ha portati a mobilitare centinaia di colleghi in occasione delle elezioni del Consiglio d’istituto. E la storia non è finita lì.
I quattro studiano in quel liceo classico Spedalieri che nel 2007 scrisse una pagina di storia nella scuola italiana con l’appello del comitato studentesco dell’epoca al senso della vita e dello studio dopo i tragici fatti del Massimino. Ma allora, pur nel clima di nichilismo imperante, c’erano ancora studenti con ideali (o ideologie) forti. Oggi i quattro paladini hanno in mano, come dicono di loro stessi, «soltanto un enorme punto interrogativo, nessuna risposta, nessun progetto, nessun megafono. Solo una domanda».
E si chiama appunto "La domanda" il gruppo che hanno costituito allo Spedalieri. Dai prof non si aspettano risposte ma chiedono semplicemente che la la scuola non sia estranea a questa ricerca. Abbiamo voluto incontrare alcuni di questi ragazzi, per capire se sono marziani o se incarnano un desiderio che cova nel cuore dei giovani d’oggi.
Per il ponte d’Ognissanti hanno deciso di organizzare con altri amici una vacanza studio nei boschi di Tarderia, alle pendici dell’Etna. È lì che abbiamo provato ad entrare discretamente nel loro mondo.

Giorgio ha 18 anni e si prepara per la maturità. Come Sara e Chiara (che, però, di anni ne ha 19). La più giovane è Deborah, che frequenta invece il quarto anno del classico.
Anzitutto ci interessa capire perché mai, in un contesto in cui prevale il disinteresse e l’astensionismo, un gruppo di giovani si mette in azione. Registriamo alcune delle loro risposte. Giorgio: «Le ore a scuola mi scivolano addosso in un estenuante conto alla rovescia al suono della campana. Mi sono detto: aspetto in questo modo anche la fine dell’anno scolastico, che per me coincide con la maturità, e poi si vedrà? Ma il desiderio che ho non è questo. Io voglio godermela la vita, voglio godermela la scuola, e non essere passivo. In questi giorni ho capito meglio che il desiderio di esprimermi, di essere attivo, coincide con l’essere me stesso».
«Io - incalza Sara, citando Linus - voglio essere vergognosamente felice». A scuola? - proviamo a chiedere. Ed ecco la risposta: «Non stiamo chiedendo l’impossibile. Stiamo chiedendo ai prof di non guardarci solo come sacchi da riempire con nozioni. Siamo persone in carne o ossa che spesso desiderano cose grandi. Ma a scuola spesso tutti se lo scordano e prevale la legge ferrea delle interrogazioni, del programma, dei test e la vita si mette tra parentesi. Ma quando accade che un prof mette se stesso in quello che fa noi siamo affascinati».

Chiara racconta di sé. Dice di aver vissuto per molti anni con la convinzione che le domande e i problemi che avvertiva fossero una questione solo sua. «L’anno scorso - racconta - mi è capitato di dover rimanere assente da scuola per diverse settimane. Quando sono rientrata ho avuto l’impressione che la maggior parte dei miei compagni non se ne fossero accorti: quasi nessuno che mi abbia chiesto come stessi, perché fossi stata assente. Ma adesso mi rendo conto che il pregiudizio è anche in me: se la domanda che vivo non è condivisibile con tutti non è vera neanche per me».

Deborah, la più giovane del quartetto, quando pensa al futuro le tornano in mente le parole di Jovanotti: «L’unica paura che io sento veramente... è quella di non riuscire più a sentire niente». E prosegue: «Ho paura di diventare come tanti adulti sdoppiati, che non pensano alla vita, ma solo all’interesse privato».
Dici "futuro" e ti aspetteresti che questi ragazzi ti scaraventino addosso la montagna di problemi e di dubbi che affiorano dal clima culturale che respirano. E invece no. Vogliono custodire il fuoco che arde nel loro cuore. Sorprendente anche l’idea che hanno della crisi. Nel loro immaginario non c’è, anzitutto, disoccupazione, emigrazione, fame. Crisi per loro è, soprattutto, "un mondo che si è arreso, che non lotta più", come dice Sara. «Gli ideali e le ideologie di un tempo - aggiunge Giorgio - sono crollati. Non restano che macerie». E Chiara: «Sono caduti tutti i surrogati, gli alibi che la società s’è costruita nel tempo».

Nella vita quotidiana, però, l’esigenza di portare a termine il programma o di chiudere le interrogazioni tende a favorire una dissociazione fra la vita (coi suoi problemi e con le sue esigenze) e la scuola. Nasce da qui un senso di frustrazione che talora vivono i nostri ragazzi. «Molti di noi, come cantano i Bidiel, spesso ci sentiamo un errore - interviene Chiara - ma c’è possibilità di riscatto? Possiamo essere importanti per qualcuno o per qualcosa?». E Deborah: «Ho imparato a cogliere i segnali che mi fanno capire che non ci sono per un puro caso». Giorgio è più problematico: «Se ci portiamo dentro queste domande e non c’è risposta, l’errore è di Dio che ci ha fatto. Ma se la risposta c’è e non la troviamo, l’errore è di chi ci distrae dal cercare il nostro compimento». «Il dialogo coi nostri compagni - conclude Sara - ci ha fatto comprendere che basta poco per ridestare il desiderio di unità, di verità, di felicità». Quel poco può essere - come è accaduto al liceo Spedalieri - un quartetto di studenti che semplicemente si chiedono: «Il voto, l’esame di maturità, il senso del dovere, i test d’ingresso universitari: la vita è tutta qui?».
La Sicilia, 11 novembre 2012