I ragazzi di terza sulla Dora Baltea.

Un «punto di fuga» per godersi la vacanza

All'inizio di luglio alcuni ragazzi delle medie approdano in Valle d'Aosta per l'attesa "vacanzina". A provocarli c'è anche don Marcello. I primi giorni filano via senza inconvenienti. Fino a quell'imprevisto durante il rafting che "ribalta" tutto...
Daniela Gritti

Cervinia, primi di luglio, vacanze dei Cavalieri di Buccinasco, Corbetta, Rozzano e della Compagnia dell’Amistad di Modena, Parma, Sassuolo, Carpi, Bassa Modenese. I giorni si dipanano come da programma, siamo già al terzo e va tutto “alla perfezione”, tecnicamente nessuna sbavatura, gesti precisi, curati nei dettagli, ragazzi “adesivi”, adulti uniti... Eppure tutto questo non basta. Manca qualcosa, dice don Marcello sul finire di una cena tra adulti. Ci consegna la sua nostalgia: «Manca la commozione, non quella che viene per una serie di gesti belli, uno dopo l’altro. Manca la commozione che nasce per un Punto di fuga». Le sue parole arrivano come un dardo a strapparci dal comodo di una «vacanza paga e perfetta». Mi rimbalza nella mente l'affermazione di Adrienne von Speyr: «Noi ci lasciamo scuotere molto più volentieri dalla Sua opera che non da Lui stesso».

La ferita è aperta, siamo tutti rimessi al lavoro: cogliere dentro la vita la Sua Presenza perché «la nostra speranza è che questo Avvenimento continui ad accadere».
Come ogni anno, si pensa ad un gesto solo per i ragazzi di terza media, la sera se ne discute. Nella coda dell’occhio la sfida lanciata da don Marcello. Sono varie le proposte da valutare: una cena o una merenda particolari, alba per temerari (ma il tempo è incerto e la neve ancora abbondante) e infine rafting sulla Dora, che pare sia il fiume più adatto per la pratica di questo sport. Gli istruttori, gente esperta ed accreditata, da anni guidano turisti e scolaresche su questo fiume. Provengono addirittura dalla Patagonia. Lì si sono formati, sulle acque impervie di un fiume dal nome improponibile, ma famoso per chi di rafting se ne intende. La scelta è fatta: i ragazzi sono eccitati già solo all’idea, anche se rimangono perplessi di fronte alla proposta: «Attraverso il rafting conoscere se stessi». «Come faremo a conoscere noi stessi andando su un canotto?».

Martedì 2 luglio, giornata tersa e soleggiata. Dopo la recita delle Lodi si parte. Settanta ragazzi di terza con adulti al seguito pronti per l’avventura. Ci siamo tutti, o quasi. La mamma di Elisabetta non è tranquilla e lei deve rinunciare. La sfida però resta aperta anche per lei, che andrà in gita con i più piccoli. Si vedrà a fine giornata. Con il pullman scendiamo a valle.
Il cuore pieno di curiosa attesa e insieme un po’ di tremore come ha scritto Federico: «Stamattina ho scelto una frase di un canto che abbiamo fatto ieri sera che mi avrebbe accompagnato per tutta la giornata: «…non ti fermare mai perché il mio amore è fedele e non finisce mai». Prima di fare rafting avevo molta paura di cadere, ma mi sono ricordato questa frase e così ho capito che dovevo fidarmi e non fermarmi perché Lui era con me».
Don Marcello ci ha insegnato a trattenere sempre, di un salmo o di un canto, la frase che ci colpisce. È un regalo che il Signore ci fa e aiuterà ad illuminare qualcosa della giornata. Anche Tobia, dopo la preghiera iniziale, ha nel cuore una domanda: «"La mia anfora è vuota alla fonte". Io questa anfora la voglio riempire…».

Raggiunto il fiume, gli istruttori, dopo aver dato tutte le informazioni di rito, ci bardano come cavalieri medievali chiusi dentro pesanti armature. A me manca il respiro, non so se per il caldo, per l'allacciatura troppo stretta del giubbotto salvagente o l’avventura imminente. I ragazzi sono trepidanti. Finalmente gli otto gommoni entrano in acqua. Si rema divertiti al comando dell’istruttore a poppa. Godiamo dei sobbalzi e degli spruzzi che arrivano quando nel fiume si incontra un dislivello o per l'incrocio di due correnti. «Molto meglio di Gardaland», commenta Ilaria seduta accanto a me. Da questa prospettiva il paesaggio è ancora più bello. Sussurro un Gloria e un grazie mentre contenta affondo la pagaia nel fiume. Valeria, un'insegnante di Rozzano, intona canzoni per dare il ritmo ed aiutarci a coordinare le remate. Ci fermiamo dove la Dora Baltea forma un’ansa riparata. Qualcuno si tuffa e tenta goffamente due bracciate. Pochi istanti e si riparte. In un attimo il fiume si fa più impetuoso, le rapide più frequenti. Un po’ distante davanti a noi un gommone si ribalta: tutto l’equipaggio cade in acqua. Il cuore mi balza in gola. Mai tante preghiere sono salite al cielo così velocemente. Sì, perché quando capisci di essere bisognoso la prima parola che sale alle labbra è il nome della Madonna. L'intervento è immediato, le guide pronte. Tutti si danno da fare per soccorrere i naufraghi e in due minuti d’orologio, i più lunghi della storia, tutti sono di nuovo a bordo. «Dipendiamo da un Altro» non è più un modo di dire, ma una evidenza. Andrea, una volta a terra, commenta: «Prima di questo episodio per poter andare incontro alle onde più alte o entrare nei vortici più impetuosi, facevamo finta di non sentire le indicazioni dell’istruttore. Dopo quello che è accaduto abbiamo iniziato a seguire: nel bisogno capisci che devi seguire qualcuno».

Intanto anche il gommone su cui stavo si avvicina al punto più infido. Senza nemmeno il tempo di accorgersi, ci ritroviamo sommersi da una sferzata d’acqua. Metà equipaggio, pagaie comprese, rovescia nel fiume. Anche qui subito la procedura di salvataggio va a buon fine, piangiamo e ridiamo insieme per la gioia. Raggiungiamo la riva con le ultime tre pagaie rimaste, a scandire le remate le nostre preghiere. Tutti approdati. I sentimenti sono contrastanti: da una parte il comprensibile spavento dei primi equipaggi, dall’altra la “gasatura” degli ultimi che, ignari di tutto, si sono goduti l’avventura. «Non basta», esordisce don Marcello «dobbiamo capire quello che ci è successo».

Dopo il pranzo, assemblea, e lì accade il vero miracolo. Iniziamo da una provocazione di Federico: «Mi sono ribaltato e questo è un segno che sono stato scelto. Dio mi vuole mandare un messaggio, ma non so qual è», la questione è aperta. Dopo un attimo di silenzio gli interventi incalzano. «Oggi ho capito la frase che mio padre mi ha detto tre mesi fa, alla morte di mio zio, «Guarda come la vita è fragile, sospesa». Lì per lì non ho capito cosa volesse dire. Oggi quelle parole mi sono diventate chiare, ho compreso che la vita è bella ed io non voglio più perdere tempo. Voglio cercare la felicità in ogni attimo che mi è regalato». Anche Valeria, caduta in acqua, riconosce: «Ho capito che io non mi salvo da sola». Anna ricorda il versetto delle Lodi recitate al mattino: «Affida al Signore la tua vita ed Egli compirà la Sua opera». Oggi quella frase ha preso carne, è diventata una esperienza. Tobia sottolinea: «C’è una sottile differenza tra bellezza e “gasatura”, ovvero la “gasatura” dura un niente, mentre la bellezza dura per sempre e quando ho finito di fare rafting la “gasatura” è finita e l’anfora era di nuovo vuota. Come faccio a riempire di bellezza quest’anfora?». La risposta arriva da Stefano: «Arrivato a terra, ero gasato per l'avventura appena vissuta, ma ora, dopo quello che ho ascoltato da voi, ho capito e sono felice».
Lucia testimonia: «Questa esperienza è stata una grazia perché solo in quel momento ho fatto veramente esperienza che io sono nelle mani di Dio e affidandomi completamente a Lui e alla Madonna non ho avuto più paura, perché da sola sono fragile, ma con Dio sono forte e affidandomi a Lui sono stata felice, ma felice davvero!».

È un fuoco di fila. Man mano gli interventi si susseguono, il cuore cede alla commozione per il miracolo della Sua Presenza. Gesù ha ribaltato tutti. Racconta Teresa: «In questa vacanzina, soprattutto gli ultimi giorni, ho scoperto Gesù. Facendo rafting il nostro gommone si è capovolto e sono stata “ripescata” da persone che neanche conoscevo. Questo mi ha molto colpito perché in cinque mi hanno aiutato e quando sono salita tutti erano preoccupati per me e mi sono sentita felice, accolta, e in un certo senso tutte quelle attenzioni mi calmavano; mi sentivo tanto bene, avevo qualcosa dentro, qualcosa che non riuscivo a capire. Oltre a questo Gesù mi ha fatto capire che la vita non mi appartiene, che da sola con le mie sole forze non ce la faccio e ho capito che solo Lui mi può guidare, guidare alla bellezza, verso il grande cuore. Così ho detto di sì ed ho imparato ad amare. E adesso mi resta solo da ringraziare Dio del miracolo».

Il miracolo è la Sua presenza. E può parlare in tanti modi, anche secondo la modalità di una normale gita sotto il Cervino. Elisabetta, che ha obbedito alla mamma, racconta: «Inizialmente l’ho presa male perché ci tenevo e pensavo che mia mamma non voleva che io fossi felice, ma durante il gitone, nel momento del silenzio, prima di arrivare alla meta, ho avuto modo di riflettere: ho pensato a mia mamma che da qualche giorno non stava bene e aveva molto da fare e ho capito che se fossi andata con gli altri ragazzi di terza le avrei dato un altro peso a cui pensare, così ho deciso di dedicare questa gita a lei, che fa tanto per me. Durante quel duro pezzo, dove ho fatto queste riflessioni e dove mi sentivo sfinita, ho trovato un momento di pace dentro di me e di colpo mi sono sentita felice e lieta. Una volta arrivata alla meta ho ringraziato Dio per avermi fatto capire quanto volessi bene a mia mamma e per avermi “regalato” un panorama così bello»
La commozione per l’Avvenimento presente è riaccaduta, ed è per tutti, in ogni circostanza della giornata.