La prova di maturità per gli studenti di Kampala.

Gli esami? «Adesso so cos'è il successo»

A Kampala la prova di maturità è alle porte. L’unico obiettivo sembra il risultato. Come questa circostanza può diventare una sfida per la propria crescita? Richard, Emma e Goldie raccontano di come hanno riscoperto un «rapporto eccezionale»
Matteo Severgnini

La stagione è piovosa, c’è fango dappertutto. Gli addetti alle pulizie della scuola se ne accorgono subito, perché ogni mattina devono lavare i pavimenti. Migliaia di impronte di scarpe decorano le piastrelle dei corridoi. Gli studenti, che ogni giorno si fanno almeno quaranta minuti a piedi per raggiungere la Luigi Giussani High School, arrivano sempre bagnati fradici e coperti di fango. Ma non possono mancare all’appuntamento con le lezioni e restarsene a letto. Sono in procinto di affrontare gli esami di Stato, che dureranno un mese. Per alcuni saranno gli ultimi, e quindi decisivi, in quanto influenzeranno le scelte future. Quanto più alti saranno i voti, tanto maggiori saranno le possibilità di realizzare le proprie aspirazioni.


Un pesante fardello da portare, come racconta Emmanuel, studente dell’ultimo anno: «Gli esami sono vicini, e gli occhi di tutti sono puntati su di me, ansiosi di vedere i miei risultati. Specialmente i miei amici, i parenti, gli insegnanti, assieme a molte altre persone preoccupate. Che tensione!».

Così funziona in Uganda. Un singolo esame sembra poter distruggere il desiderio di una vita. Nessuno può permettersi di sbagliare. La parola d’ordine? Io devo riuscire! Nessuno può rimanere tranquillo. A meno che tu non senta di non essere solo di fronte a tutto questo. Come è accaduto ad alcuni studenti, che hanno cominciato a vivere la circostanza dello studio come un’occasione per maturare e per rispondere alla domanda fondamentale: io cosa sto cercando?

Tre settimane fa sono usciti i risultati di alcuni test regionali (Mocks), che si svolgono due mesi prima degli esami di Stato. Sono un modo per verificare la situazione scolastica degli studenti, in preparazione degli esami finali. Un gran numero di ragazzi si affollava davanti ai tabelloni: tutti sapevano che questi risultati erano molto importanti.

Goldie, studente del sesto anno, non credeva ai suoi occhi. È rimasto impietrito di fronte al gelido muro degli esiti, mentre una grande amarezza gli riempiva il cuore. Il tabellone parlava chiaro: aveva totalizzato pochissimi punti. Se avesse avuto lo stesso risultato anche agli esami finali, ovviamente, non avrebbe potuto iscriversi a nessuna università. Che delusione! Il suo cuore ha cominciato a battere all’impazzata: «Cosa ci faccio a scuola? Cosa mi vuole dire tutto ciò? Cosa sto cercando a scuola? Ce la farò davvero alla fine?». Era sopraffatto dall’ansia. Non riusciva a darsi pace in nessun modo, finché non ha deciso di parlarne con un amico. In quel momento Goldie si è reso conto di quanto avesse ridotto il proprio io al solo progetto di superare gli esami. L’unico suo pensiero era quello di ottenere buoni risultati, senza lasciare spazio a nulla e a nessuno. «Ma in quel momento ho cominciato a rendermi conto che io non posso essere ridotto al punteggio che riuscirò a raggiungere», spiega il ragazzo. «Io sono molto più di questo. Io sono amato, e questo è il mio valore reale».

Questa scoperta gli ha fatto capire che tutta la sua umanità era stata risvegliata, e si è reso conto che, anche nella circostanza di questi esami, continuava a cercare Colui che il suo cuore amava. «Quanto accaduto è stato per me una opportunità di conversione del cuore, perché se io non sono definito da questi risultati, allora sono definito da qualcosa di più grande. Perciò mi sto preparando agli esami finali che affronterò tra un mese, con la coscienza che in ogni istante della vita il mio cuore sta cercando Lui, e tutto ciò che accade non è che un passo avanti in questa ricerca. Quello che, attraverso il mio studio, mi viene chiesto è un si, o un no, a Lui. Per questo ora mi ritrovo ad amare di più i miei libri».

In questi giorni molti dei compagni di classe di Goldie si chiedono cosa gli sia accaduto. Sul suo volto è stampato il sorriso di chi sa con certezza cosa sta cercando e sperimentando.

Quello stesso sorriso si ritrova sul volto di Emmanuel (Emma). Anche lui confessa di aver fatto una scoperta fondamentale in questo periodo. Emma è conosciuto da tutti come un ragazzo allegro, con un grande desiderio di divertirsi. Uno sempre pronto a far ridere la gente, ma la situazione degli esami l’ha interrogato. Come molti, anche lui aveva i suoi progetti. Studiare, studiare e ancora studiare, dimenticando tutto il resto. Questa era la sua strategia per avere un buon risultato. «Ma vivendo in questo modo, a un certo punto mi sono accorto che avevo paura dei miei libri, del mio tempo, della mia scarsa concentrazione, e delle poche energie. Mi sono ritrovato a desiderare di non dover affrontare la realtà degli esami. E mi sono reso conto che mancava qualcosa».

La settimana scorsa Emma ha deciso di non andare a scuola. Aveva troppo da studiare, voleva starsene a casa, lontano da aule, amici e insegnanti. Si è chiuso in casa con l’intenzione di passare più ore possibile sui libri. Era tutto pronto: quaderni, penne e i fogli per gli appunti. Tutto in ordine davanti a lui. Non mancava nulla. Ma appena si è seduto alla sua scrivania, il suo cuore è stato assalito da un senso di nostalgia. «Cosa mi manca? Qui c’è tutto quanto mi serve». Faceva molte ipotesi, ma non trovava pace. Di fronte a tutto ciò è stato costretto ad andare a fondo di questa esperienza. «Forse è Cristo, il significato di tutto, quello che mi manca». E immediatamente si è ricordato delle parole di Rose: «Cristo è sempre presente, siamo noi a mancare».

Emma voleva capire questa affermazione. Si è messo a leggere a fondo il testo degli Esercizi della Fraternità, al punto intitolato: «Come uscire dall’immaturità». Ed è rimasto colpito. Si è riconosciuto nell’esperienza degli Apostoli, ritrovando in sé il medesimo atteggiamento: il pane era la preoccupazione primaria, mentre la fonte, il panificio, è proprio davanti a noi. «Leggendo quelle parole, la mia nostalgia per Cristo è stata ridestata, e i miei occhi si sono aperti a comprendere la realtà, tanto che, qualsiasi cosa io faccia, mi riporta indietro all’origine. Una occasione per riscoprire me stesso. E ora desidero uscire da questa immaturità, attraverso le circostanze che sto vivendo. C’era una sola cosa da fare: riempire lo zaino di libri, uscire di casa, e tornare a scuola a leggere assieme a qualcun altro, smettendola di nascondersi. Si, smettendola di nascondersi, perché quando riscopri il rapporto con Colui che ti tiene tra le sue mani, non sei più definito dalle tue misure o dai tuoi progetti, nemmeno dal peccato. Non vuoi più nasconderti da nulla e da nessuno».

Come è accaduto a Richard. Anche per lui vedere i risultati del Mock non è stata una bella esperienza. Era sempre stato uno tra i migliori studenti della scuola, ma questi risultati non erano molto buoni, e lui era sconvolto. L’esito era inferiore alle sue aspettative. La sua mente ha cominciato subito ad analizzare tutte le possibili ragioni di un simile risultato. Sicuramente non aveva studiato abbastanza. Ma come poteva ignorare la minaccia degli esami, la vergogna e quella giornata nera? Un amico, notando che era fuori di sé, gli ha fatto leggere una frase di don Giussani: «Il centro della vita non è una riuscita, ma il riconoscimento di una Presenza». Forse perciò, il motivo per cui per cui tanti dei nostri contemporanei non si sentono amati, è il cercare il compimento altrove. Basterebbe rendersi conto di cosa siamo, per capire se con il nostro "fare" riusciamo a rispondere al nostro dramma umano. La vita è questo amore, è il riconoscimento di essere amati.

Richard è rimasto commosso. Allora c’era qualcuno di più forte del suo fallimento, qualcuno che poteva liberarlo dalla sua misura, dal suo dolore. «Mi sono ritrovato a desiderare Lui. Mi sono reso conto che nella mia confusione, nella mia fragilità, avevo dubitato della presenza di Cristo, l’unico che mi fa essere in ogni istante, anche se non me ne accorgo. Anche se sono confuso, disorientato, pieno dei miei errori, Lui è presente».

Dopo questo abbraccio, Richard ha cominciato a passeggiare nel corridoio della scuola, felice e pieno di nuove energie. La ragione è chiara, come racconta lui stesso: «Ho sentito che il successo legato ai buoni risultati non era ancora sufficiente, e non era nemmeno ciò che il mio cuore desiderava ardentemente in quel momento. Desideravo qualcosa di più grande del mio successo scolastico. Ed era un Tu, che è il mio vero Io».

E aggiunge: «Anche leggere i miei libri è diventato bello. Prima di questo giudizio, io leggevo e mi fermavo alla superficie di quanto avevo letto, senza andare più a fondo. Ma ora ogni cosa che leggo è vera, perché io vado oltre, e scopro cosa sono veramente per me i libri. Leggere è un modo per riscoprire me stesso nel rapporto con Lui. Questo è il vero successo».