Ma perché le donne non vogliono fare l'eterologa?

Via il divieto, sono arrivati i problemi. Giuridici e politici. Mentre negli ospedali si inizia a fare i conti con i dubbi di chi si sottopone ai trattamenti. Un'intervista sul "Corriere della Sera" apre molte domande
Alessandra Stoppa

«L’unico vero denominatore di queste coppie è che non vogliono fare l’eterologa». Ci si ferma e si torna indietro pensando di aver letto male. Invece è così.

Edgardo Somigliana, responsabile della procreazione assistita alla Fondazione Ca’ Granda-Policlinico di Milano (l’ex Mangiagalli) e deputy editor della rivista Human Reproduction, intervistato dal Corriere della Sera, traccia l’identikit delle coppie - in particolare delle donne - che decidono di sottoporsi alla fecondazione eterologa: la prima cosa che le accomuna è la resistenza ad accettare questo percorso. «Del resto, lo capisco», aggiunge: «Perché il primo ad essere in difficoltà sono io che la devo proporre».

È sotto gli occhi di tutti che l’abolizione del divieto all’eterologa sta facendo venire a galla quanto il tema sia più grave e tormentato di quel che la retorica dei diritti ci abitui a pensare. Ora si fanno i conti con tutti i motivi di stallo tra la sentenza e l’applicazione: le Regioni sono alle prese con le linee guida, i tempi, le modalità, la mancanza di donatrici, i costi, i limiti di età, l’anonimato, i rischi di derive commerciali... Intanto le Camere lavorano a un testo unico. Ma la delicatezza dei protocolli rischia di oscurare il primo aspetto di complessità, che non riguarda l’adeguamento del sistema sanitario. Riguarda le coppie e la loro decisione.

Come racconta Somigliana, «passa un anno e mezzo prima che le donne accettino l’idea» di intraprendere questa strada. Si parla di donne, perché la difficoltà a decidere è soprattutto loro. In alcuni casi, durante la gravidanza, subentra «il rifiuto con richiesta di abortire». E il medico per primo si trova in difficoltà a proporre l’eterologa. Perché tutto questo?

La risposta di Somigliana è che «non è facile superare la percezione dell’importanza dell’ereditarietà genetica, anche se poi, ovviamente, si razionalizza e si mette a fuoco che l’ambiente fa la differenza». Non è ovvio per niente. Si aprono solo ancor più domande. L’importanza dell’origine genetica è soltanto una “percezione”? Perché è difficile superarla? Ma soprattutto, prima di doverla superare, possiamo guardare cosa ci dice l’esperienza di questi uomini e donne, di cosa ci parlano i loro dubbi? Non sappiamo se sono paura, il segno di un’estraneità dolorosa o altro, di certo non riguardano né i costi né i protocolli.

È così senza fine il desiderio di queste coppie, che non si può eludere la questione definendola un «dilemma politico», come a conclusione dell’intervista: «Lascio ai politici le valutazioni». È chiudere gli occhi e non cercare più. Il medico stesso racconta che «con i progressi delle tecniche di procreazione assistita si tende a trasmettere l’idea che si possa fare tutto e sempre» e cosa voglia dire ritrovarsi, «ogni giorno», a dover chiarire ai pazienti che la realtà non è tutta come la pensiamo. Ma non perché presenta dei "limiti" da superare con la tecnica. Perché è diversa, è più profonda e preziosa. E noi con lei.