Olivier Rey.

Sul buon uso dei Lumi

Dopo i fatti di Parigi, come leggere quello che è accaduto? "Charlie Hebdo" dalla parte della ragione e gli attentatori dalla parte oscurantista? Per Olivier Rey, matematico e filosofo francese, questo schema illuminista è inadeguato e riduttivo
Olivier Rey

«Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto! Questo è il motto dell'illuminismo», ci dice Kant. Oggi succede che un intelletto utilizzato correttamente ci faccia dubitare che il duello tra Lumi e oscurantismo, così come fu pensato nel XVIII secolo, sia la cosa migliore, in grado di farci comprendere le poste in gioco attuali. Il mese scorso, la Francia è stata sconvolta dal selvaggio attentato di cui la redazione di Charlie Hebdo è stata il bersaglio. Applicata a questo avvenimento, la griglia Lumi/oscurantismo ci dà il giornale Charlie Hebdo dalla parte dei Lumi, gli uccisori dalla parte delle tenebre medievali. L’idea ha il vantaggio di essere semplice, e l’inconveniente di essere inadeguata.

Si è fatto notare che un giornale come Charlie Hebdo sia una singolarità francese. Tale singolarità trova forse la sua sorgente nel fatto che la Francia, pur inorgogliendosi delle sue istituzioni repubblicane, ha conservato più che in altri Paesi la sua struttura monarchica. Un tempo i re avevano i loro giullari: in quanto alla Repubblica, essa riconosce l’esistenza di un giornale come Charlie Hebdo di pubblica utilità. Così come il carattere di giullare permetteva al giullare di dire quel che diceva, ai giorni nostri è il carattere rivendicato di «giornale irresponsabile», affiancato alla testata, che autorizza Charlie Hebdo a pubblicare il genere di caricature che pubblica. Si percepisce allora quel che c’è di fastidioso negli appelli all’unità nazionale attorno allo slogan «Je suis Charlie»: la Repubblica viene identificata con i suoi giullari. Ma, in questo caso, chi è il guardiano della ragione, a cui facevano appello i Lumi? Fortunatamente per noi i Lumi avevano ben altro da affermare e da trasmettere che la sola libertà di ridere di tutto.

In quanto agli uccisori, essi sarebbero dalla parte di un oscurantismo da cui si credeva che la modernità ci avesse fatto uscire definitivamente. L’ideologia del progresso inarrestabile, inscritto nel senso della storia, è così impiantata che, quando sopraggiungono fatti che mal si integrano al racconto del «sempre meglio», occorre reperirvi le stimmate di un passato che tarda a passare, le risorgenze di un arcaismo in seno al moderno, delle ricadute. La verità è più sinistra. Gli uccisori con i quali abbiamo a che fare non sono dei fossili, essere pre-illuministi smarriti nel XXI secolo, ma creature del nostro tempo. Non sorgono da un passato arretrato, ma dal presente post-moderno. Non sono figli di un mondo antico, ma di un’Europa che ha rotto tutti i suoi legami e va alla deriva in assenza di peso. Non sono esseri smarriti a causa della religione, ma i nuovi cittadini di una società che, per riprendere le parole di Marx e di Engels «ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, del sentimentalismo piccolo borghese» e, si potrebbe aggiungere, nelle acque tiepide dell’intrattenimento sghignazzante. In questo vuoto spirituale, alcuni strappano il primo pennone marcio che braccia perverse tendono loro, e incominciano un cammino diabolico per una via di salvezza.

I Lumi hanno la loro grandezza. Hanno emancipato lo spirito dai limiti troppo stretti che la tradizione imponeva loro. I Lumi hanno anche il loro punto cieco: non hanno preso in considerazione le condizioni di possibilità. I filosofi illuministi non erano figli della natura, ma figli del cristianesimo e di una lunga tradizione di pensiero, che con i suoi intralci, li accompagnava. Trascurando questo fatto, i loro successori hanno volentieri creduto che servire e far trionfare lo spirito dei Lumi volesse dire purgare il mondo da tutto quel che sembrava limitare il regno di questo spirito. Ma ciò vuol dire volere un primo piano e i successivi senza il pian terreno sul quale si appoggiano. Quando, a furia di essere rifilati, i muri portanti diventano troppo esili, dei crolli sono da prevedere.

Ritornando al massacro di cui la redazione di Charlie Hebdo è stata vittima, il Presidente della Repubblica ha dichiarato: «La Francia è stata attaccata in ciò che ha di più sacro». Questo ritorno della parola «sacro», a proposito di un attentato fatto a un giornale che, sin dalla sua origine, ha fatto della desacralizzazione generale e radicale una pratica permanente, dovrebbe far riflettere. Sacralità della libertà d’espressione, si dice. Ma non si dovrebbe, più di quel che si fa, interrogarsi su quel che vale veramente la pena esprimere, che rende la libertà di espressione così preziosa? «Quanto alla libertà di pensiero», scriveva Simone Weil nel 1943, «si dice in genere il vero quando si afferma che senza di essa non vi è pensiero. Ma è ancora più vero dire che quando il pensiero non esiste non è libero. Nel corso degli ultimi anni c'è stata molta libertà di pensiero, ma non c'era pensiero. È pressappoco la situazione del bambino che, non avendo carne nel piatto, chiede il sale per salarla».

Quello che ci manca di più oggi non è il sale del riso: non sappiamo più che farcene, per farci esplodere le arterie; quello che ci manca è un certo tipo di carne (o di pane) che nutra l’uomo. Prime di criticare, occorre ricevere con fiducia, prima di prendere in giro o di volgere in derisione, occorre costruire e rispettare. La venerazione fa parte dei bisogni dell’anima. Una civiltà che non è capace di dare a questa fame l’alimento che reclama, oltre a usurpare la qualità della civiltà, si prepara giorni sempre più difficili. Ecco la grande minaccia: la proliferazione di anime morte. Di cui alcune, per darsi un’illusione di vita, spargono la morte attorno a loro.

Leggi l'articolo di Oliver Rey sul sito di Le Huffington Post