Padre Pierbattista Pizzaballa.

Custodi dell'esperienza cristiana

Invitato al Centro Culturale del capoluogo pugliese, padre Pierbattista Pizzaballa racconta della guerra in Siria. Le chiese, come le moschee, sono devastate, l'Isis ordina di distruggere le croci. Ma i cristiani non hanno dimenticato chi sono
Fabrizio Sinisi

Fra Pierbattista Pizzaballa è un uomo mite, sereno; parla con la calma priva di enfasi di chi pur vivendo quotidianamente in una situazione estrema non cede mai di una virgola al narcisismo. La Custodia di Terrasanta, di cui è responsabile da più di nove anni, è infatti presente non solo in Palestina, ma anche in Egitto, Cipro, Giordania e Siria. Invitato dal Centro Culturale di Bari ad un incontro pubblico nell’Ateneo cittadino, fra Pizzaballa - incalzato dal prof. Costantino Esposito - non fa sconti sulla gravità della situazione siriana: «Una situazione drammatica: le strade sono interrotte, mancano l’elettricità e l’acqua; cadono bombe ogni cinque minuti». «Aleppo», spiega, «è semidistrutta. La gente riesce ormai a calcolare dal suono dell’esplosione i metri di distanza dalla bomba. Le chiese e le moschee sono devastate allo stesso modo; mancano perfino i luoghi per ospitare gli sfollati».

Cosa c’entra la religione con tutto questo? E, nello specifico, domanda Esposito, in che modo l’esperienza religiosa può - se può - diventare un fattore di apertura, d’incontro? Fra Pizzaballa non potrebbe essere più diretto: «C’è bisogno del cuore. Pane e acqua, certo, ma soprattutto il cuore: solo da quello si può ricostruire. La guerra ferisce, ma non annienta. Gli esempi sono tanti. L’Isis dice di distruggere le croci; ma i cristiani non le hanno distrutte, le hanno seppellite; hanno conservato il vino della Messa; continuano a pregare. Sono contadini, gente semplice, ma hanno piena coscienza di chi sono».

E continua: «La situazione, certo, è terribile. Nella guerra la gente vive male. Quasi ogni famiglia ha almeno un morto, un ferito, oppure è sfollata; ci sono madri che hanno perso i loro figli e figli che hanno perso i loro genitori; dieci milioni di siriani hanno dovuto spostarsi e costruirsi una vita altrove; le prospettive sono state castrate. Quindi il carico di dolore è enorme, ed è faticoso vedere il futuro. La guerra finirà: non potrà durare per sempre. E quando finirà bisognerà ricominciare a costruire. E per ricostruire serve, appunto, il cuore; non puoi permettere che l’odio diventi il tuo strumento di lettura delle cose. Anzi, la situazione di guerra apre certe nuove prospettive impensate: gli sfollati si mettono insieme, perché condividono il bisogno; cristiani e musulmani si vedono spesso insieme ai funerali; si crea unità fra le diverse confessioni cristiane. C’è bisogno del cuore, prima ancora delle grandi soluzioni. Quello che so come religioso è che io posso star lì con la gente. Dando qualcosa, se posso, oppure semplicemente stando lì».

Quando Esposito gli chiede che cosa significhi «custodire», anche stavolta Pizzaballa è straordinariamente diretto: «Avere a cuore, amare quello che custodisci. In Terrasanta questo è chiaro: custodisci non le pietre, ma l’esperienza cristiana; non semplicemente il Calvario, ma il senso stesso del Calvario, l’esperienza di Cristo crocifisso. Non puoi custodire una realtà che non ami. La Custodia non è un corpo di sentinelle incaricate, ma una maternità, una paternità. E questo significa stare con la gente, perché l’amore non è sentimentalismo. In Siria, ad esempio: noi non siamo obbligati a stare lì. Ma ci stiamo. Un parroco che era stato rapito, ci è tornato: per la sua gente. Occorre uno sguardo redento, libero: perché se sei innamorato vedi tutto positivamente. Uno sguardo redento non ti permette di abbruttirti».

L’incontro suscita molte domande; e quasi tutte vertono su questo: come si possa non solo vivere, ma continuare ad avere speranza in un contesto tanto tormentato dalla violenza. Fra Pizzaballa, con la sua consueta, nettissima semplicità, risponde: «La fede. Tutto passa dall’esperienza. E la fede che vivo tocca tutte le fibre dell’essere. Questo vale per tutto. La fede diventa un fattore di azione solo se diventa esperienza: altrimenti non preme, non ti dà fastidio, non ti spinge fuori». E aggiunge, con lo sguardo tenero e saldo di un uomo che ama: «Tutti abbiamo bisogno di Qualcuno che riempia la vita. Noi della Custodia non ci muoviamo per cambiare lo scenario mediorientale, ma perché vogliamo vivere. E finché sei vivo niente ti può fermare».