Il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.

Se tra Stato e privato serve l'uomo

«Superare la crisi senza sacrificare nessuno». Su questo tema martedì 6 novembre si sono confrontati il sindaco di Milano e Giorgio Vittadini. Per arrivare alla persona e allo sviluppo, «che ha un incomprimibile fattore»...
Paolo Perego

Ci sono cresciuti entrambi a Milano, figli del boom economico. Presi dentro prima dal Sessantotto e poi nelle turbinose battaglie politiche degli anni Settanta. Quindi gli anni 80, quelli della crescita, e il periodo di Tangentopoli. Fino ad oggi, ancora in prima in linea. Allo stesso tavolo a parlare di crisi e speranza, Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, e Giuliano Pisapia, sindaco di Milano. È successo durante l’incontro organizzato dal Centro Culturale di Milano martedì scorso: «Superare la crisi senza sacrificare nessuno», un titolo che riprende quello del libro di Vittadini già presentato al Meeting di quest’anno, come spiega Sergio Luciano, giornalista di Panorama, chiamato a moderare l’incontro e ad interloquire coi relatori.

Parole come bene comune, sussidiarietà, ruolo delle istituzioni. «Basta aprire poco la porta per vedere quanto certe opere fanno di utile per la città», dice Luciano. Così nella sala di Via Sant’Antonio, a due passi dal Duomo, c’è spazio anche perché due di queste realtà si raccontino. La Comin, per esempio, la prima cooperativa lombarda, che dal 1975 si occupa di assistenza ai minori e di affido. E poi Portofranco, lo spazio di aiuto allo studio fondato e mantenuto da centinaia di volontari, ormai arrivato al dodicesimo anno di vita.
Cose grandi. Utili. «Perché da soli non ce la si fa», dice Pisapia: «Sono gocce, e a Milano sono tantissime. Non riempiranno il mare, forse, ma possono portare a risultati eccellenti». E non si parli solo di “buona volontà”, continua il sindaco: «Si tratta di buona politica, cioè di gente che lavora per la polis, per il bene comune». Comune, appunto. «Il volontariato fa tanto per la città, e la città deve fare altrettanto queste realtà». Certo i tagli ci sono: 380 milioni in meno nelle casse di Palazzo Marino si fanno sentire. «Il titolo dell’incontro è un grande sogno. Sarebbe bello, ma qualche sacrificio dobbiamo farlo».
Sacrifici, forse. «Ma non si può ridurre il tema al rapporto volontariato-Stato», sottolinea Vittadini. Occorre dare spazio e, se si può, valorizzare quello che c’è, continua lo statistico, lui che è nato, cresciuto, vissuto in una città di grandi aziende che oggi hanno chiuso: Durban’s, Innocenti, Breda... «Dovremmo essere una città del terzo mondo. E invece la città si è rigenerata. È inspiegabile, eppure è accaduto». E accade. Moda, design, comunicazione, finanza: «È una realtà che è venuta su con risposte dal basso, non per volontà politica o amministrativa. E questo anche in ambito sociale». Un benessere che non è arrivato dalle istituzioni. E questo, con la crisi, è ancora più accentuato. Basta guardarci: «Siamo un Paese che nasce dalla convergenza di movimenti popolari. Il “comune” stesso nasce dal mettersi insieme di queste realtà». Frutto di una concezione cattolica di uomo, fatto di cuore e desideri che portano lo sviluppo. «Tra istituzioni e privati occorre un partenariato. Non ci può essere contrapposizione. Ci sono esperienze interessanti da guardare dall’una e dall’altra parte. E su questo bisogna sperimentare forme che valorizzino questa collaborazione».
Va bene la collaborazione replica Pisapia: «Ma occorre attenzione: la carità, può far del bene, essere utile. Ma non risolvere i problemi». Serve dialogo, confronto. «E l’istituzione ha il compito di mettere in rete queste esperienze e prendere le decisioni. A Milano è vero che il welfare di base è molto importante, e che esiste una strategia di gruppi che collaborano. In Italia il ruolo dello Stato è fondamentale. Non si può scaricare tutto sul welfare sussidiario».

E sta bene anche a Vittadini il coordinamento dello Stato. «A patto che non ignori quello che già c’è e che funziona». Un tema su cui lavorare è di certo quello della libertà di scelta dell’utente: «Che uno possa scegliere dove curarsi. Per esempio scegliendo il meglio per qualità o vicinanza. Oppure dove mandare i figli a scuola: la Dote lombarda in questo è un’icona. Niente soldi a pioggia dall’amministrazione locale. Ed è una cosa che ha inventato Blair, uomo di “sinistra”». Insomma uno Stato che guardi al cittadino come un interlocutore diretto, e non come spesa sociale. «Accade in Francia, con la famiglia, per dire. Nel Paese più statalista del Vecchio continente...».
Replica subito il sindaco di Milano: «Ci sta, la libertà di scelta. Una cosa che condivido. Se fosse praticabile...». E invece è un’utopia, spiega: «Tu non puoi far diventare tutti uguali. Puoi solo fare di tutto per eliminare gli ostacoli, come chiede la Costituzione alla voce uguaglianza. Con la libertà di scelta non si può garantire questo tentativo: come dare a tutti pari opportunità di accesso e non scadere in limitazioni di posti, raccomandazioni, corruzione? Invece le istituzioni lo possono fare. Solo “Stato” può e deve garantire l’equità».
«Ma una terza via che tenga conto di questo, quale può essere? Le iniziative anche imprenditoriali in questo senso non mancano. Non si può non tenerle in conto», chiede Luciano. Soprattutto quando rappresentano delle eccellenze.

Per Vittadini il cuore della risposta è chiaro: «L’uomo nuovo, la creatura. Fatta di desiderio, responsabilità personale. Senza soggetto possiamo mettere in campo qualsiasi strumento e sarà inutile». Basta guardare alla realtà, alla storia: «Lo sviluppo ha un fattore umano incomprimibile». È quello su cui si deve puntare: «La funzione pubblica dei privati, il sostegno dello Stato, le istituzioni garanti della bontà dei servizi: dobbiamo dialogare su questo. Dibattiti così non dovrebbero esserci solo durante le elezioni». Applaude la platea, piena di giovani. E approva Pisapia: «Ma non chiamiamolo “tavolo”... Che di tavoli se ne fanno già troppi. Chiamiamolo piuttosto seminario permanente». Vada per il seminario. Noi lo prendiamo come impegno.