«La scuola pubblica? È quella che già c'è»

Domenica 26 maggio i bolognesi sceglieranno se abolire i fondi comunali alle scuole di infanzia libere. Parla Marco Masi, presidente nazionale della Foe: «È questione di realismo, le paritarie sono esempio di sussidiarietà»
Paolo Perego

Siamo agli sgoccioli. L’appuntamento di Bologna è fissato per domenica 26 maggio. E la battaglia che si è accesa intorno al referendum per abolire o meno i fondi comunali alle scuole di infanzia paritarie è diventata incandescente. Ad accendere l’ultima miccia è stato l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi: «Voterò B. Perché bocciare un accordo che ha funzionato bene per tanti anni?». Realismo. Basta guardare ai dati. «Se togliessimo quei fondi metteremmo in discussione la gratuità delle materne». Ovvero, asili comunali a pagamento, gli fa eco la capogruppo Pd della commissione Istruzione del Senato, Francesca Puglisi. «Porteremo comunque avanti il programma delle convenzioni», chiosa il sindaco del capoluogo emiliano, Vincenzo Merola, Pd, che incassa le bordate che gli arrivano dalla anche sua stessa parte politica: «La scuola pubblica è quella che c’è. Non quella che si sogna».
Nel mezzo ci sono le scuole di infanzia paritarie che rischiano di chiudere i battenti. E le famiglie, che da mesi difendono a suon di volantinaggi e iniziative la possibilità di scegliere come e dove crescere i loro figli. Arrivando a inventarsi di tutto, lo abbiamo raccontato, per sopperire all’eventuale taglio degli aiuti e continuare a far vivere le loro realtà.
«È sempre più evidente: si fronteggiano due posizioni. La prima, quella dei promotori del referendum, è ideologica. Dall’altra parte c’è quella di chi guarda la realtà per quella che è». Parola di Marco Masi, presidente nazionale della Federazione Opere Educative (Foe), un’esperienza associativa che unisce 188 gestori di oltre 500 scuole e istituti educativi non statali, oggi protagonista nel dibattito emiliano. «Ci sono dei fatti con cui bisogna fare i conti. E qualcuno l’ha fatto. Il sindaco di Bologna, per esempio, all’incontro del 9 maggio che abbiamo organizzato. Ecco, lui è uno che riconosce che questa scuola paritaria è un servizio pubblico, un fatto positivo e una risorsa».

Da cosa si può capire?
Guardiamo i numeri. La scuola di infanzia. A Bologna la scuola paritaria accoglie il 21% delle domande. Il dato nazionale si attesta al 12%. In mezzo ci sta l’aspetto economico, ovvero il fatto che la scuola paritaria rappresenta un risparmio per lo Stato, a conti fatti. Sempre a Bologna il comune sostiene questa rete di scuole libere con un contributo di circa 600 euro a bambino, spendendone 6.900 per ogni alunno di istituti che gestisce direttamente. A livello nazionale lo Stato riconosce all’alunno delle paritarie 500 euro, spendendone 7.300 euro per uno delle sue scuole. Queste cifre per il comune bolognese rappresentano il 2% delle risorse stanziate per le scuole di Infanzia.

La sproporzione è evidente..
Non è solo una questione di paragoni. Il problema è riconoscere che destinare parte dei fondi alle scuole paritarie è un modo virtuoso di utilizzare le risorse della collettività. Non un onere, ma un grande risparmio nell’usare usare i soldi di tutti. E questo non vale solo a Bologna, che ha avviato il sistema delle convenzioni nel 1994/95. In tutta italia, parlando di scuole di infanzia, il rapporto tra enti paritari e amministrazioni locali è assolutamente normale. Ha un’origine antecedente. Quasi tutti i Comuni italiani hanno questo tipo di rapporto da decenni. Il che vuol dire che si tratta di un’esperienza diffusa e assodata dal punto di vista dei benefici che porta alla comunità. Basta guardare al Veneto, pratica storicamente radicata. O la Lombardia. La stessa Emilia Romagna, che pur è arrivata per ultima, ha visto un rapido diffondersi di questa pratica.

Insomma, è la normalità che l’istituzione si appoggi all’esterno?
La scuola di infanzia ha una peculiarità. È un tipo di esperienza in cui lo Stato è arrivato per ultimo. Non è obbligatoria. C’è una presenza significativa di realtà comunali, che però è insufficiente. E la scuola paritaria in questo ha un ruolo fondamentale che garantisce l’accesso, integrando il numero limitato di posti della scuola d’infanzia, a tutti i bambini. È un esempio di sussidiarietà.

La vicenda di Bologna ha precedenti in Italia?
Un referendum nazionale contro la legge 62/2000, la legge Berlinguer, era stato giudicato costituzionalmente inammissibile qualche anno fa. In Friuli nel 2002, contro il buono scuola, non si era raggiunto il quorum. In realtà a Bologna, per la prima volta, tante persone di diverse estrazioni culturali e politiche hanno riconosciuto in questa collaborazione sussidiaria un fatto. Un fatto positivo per il bene comune. Questo è realismo. È ha un grande valore anche nel dibattito nazionale e nel futuro della parità. E, ampliando il discorso, sul futuro di tematiche legate alla voce “famiglia”.

È l’emergere di una libertà di educazione non concepita più solo come diritto ma come un bene...
In un certo senso sì. Una sfumatura che a volte è dimenticata. Il dato è che, di fatto, è qualcosa che costruisce la società... La libertà di educazione ha due poli. Uno è la responsabilità della famiglia nell’esercizio di questo diritto di libertà; l’altro è la presenza di una pluralità di realtà in cui questo diritto può esprimersi. Entrambi sono un bene per la comunità. E uno non può non riconoscerlo. Guardiamo al sindaco di Bologna e alla sua giunta. “Noi non siamo costretti a sostenere queste scuole: lo facciamo perché è giusto. Perché questa è la scuola pubblica: quella che c’è”. Precedenza ai fatti. Alla realtà. E questo, al di là dell’esito di Bologna, ci auguriamo possa essere un criterio anche per un dibattito nazionale.

Non è rischioso?
Noi non abbiamo voluto questo referendum. L’abbiamo osteggiato per tutto quello che abbiamo potuto. Ma oggi c’è. E ci stiamo, in mondo positivo. Partendo dalle esperienze buone che ci sono. Dalle scuole alle famiglie, con le loro scelte educative. Ma anche aperti a quello che accade. Penso ai tanti incontri che abbiamo fatto. A tanti rapporti che si sono aperti con persone che sulla carta avrebbero dovuto stare dall’altra parte della barricata. E invece... Fare i conti, impegnarsi con le cose, nel caso il referendum, permette di aprirsi anche all’imprevedibile. E ti fa scoprire di più quello che pensi di già sapere. Come nel caso della libertà di educazione. Se ti giochi con il cuore, anche quello lo scopri con un sapore nuovo.