Una delle proteste anti-governative a Caracas.

«Questa non è la strada»

In un clima dove il caos e i morti per le proteste si intrecciano alla paura, i Vescovi del Paese prendono posizione. Il documento pubblicato dalla Conferenza Episcopale porta un giudizio netto, e il richiamo all'unica via possibile
Emanuele Braga

È un testo asciutto, scritto in un linguaggio che non fa giri di parole e chiama le cose con il loro nome. E già questo è un contributo grande, per un Paese come il Venezuela dove il caos e i morti per le proteste di piazza si intrecciano con le paure per le ritorsioni del governo di Nicolás Maduro, e parlare vuol dire spesso rischiare. Ma il documento della Conferenza Episcopale venezuelana, pubblicato ieri, offre più di una lettura realistica dei fatti. È un giudizio netto e un richiamo all’unica via di uscita possibile.

I Vescovi parlano di «una crisi gravissima per forza, durata, violenze e conseguenze nefaste» (dall’inizio delle proteste contro il governo, il 12 febbraio, ci sono stati almeno 39 morti, 560 feriti e poco meno di duecento arresti) e ne indicano la «causa fondamentale: la pretesa del Partito al potere e delle autorità statali di attuare il cosiddetto “Plan de la Patria”», una riforma che nasconde la promozione di un «sistema di governo di fatto totalitario, che mette in dubbio il suo profilo democratico».

Si contestano la restrizione delle libertà dei cittadini; la mancanza di politiche a protezione della cittadinanza; gli «attacchi all’economia nazionale» già in ginocchio, perché la statalizzazione spinta sta fiaccando l’industria e al Paese tocca importare tutto e manca tutto. Ma si denunciano anche la «brutale repressione della dissidenza politica» e la «pacificazione cercata attraverso minacce, violenze verbali e repressione fisica».

Manifestare è un «legittimo diritto previsto dalla Costituzione», ricorda la nota, e chi lo esercita «merita rispetto». C’è dolore per i morti tra i manifestanti e la polizia: «Vogliamo ricordare a tutti che il valore della vita è assoluto e che Dio lo protegge». Ma «è evidente che molte azioni delittuose avvenute in piazza sono causate da persone o gruppi infiltrati per screditare le proteste». Da qui l’appello a «disarmare i gruppi civili» paramilitari, a non criminalizzare chi protesta, a non usare una «repressione brutale» che sfocia persino in «torture ai detenuti e persecuzioni giudiziarie nei confronti di sindaci e deputati di opposizione». La repressione «non è la strada» per risolvere i problemi.

I Vescovi propongono un’alternativa, l’unica: «Un dialogo sincero del Governo con tutti i settori del Paese», accompagnato da «gesti concreti e valutabili nel tempo come segnali di una correzione necessaria». Chiedono che si istituisca una «Comision de Verdad» su quanto sta succedendo, offrono il loro contributo a «costruire la pace partendo dalla verità» e di fatto domandano alla Santa Sede di aiutare la mediazione tra governo e opposizione, invitando i fedeli a un digiuno per il Venerdì Santo, «come atto di solidarietà con tutte le famiglie che piangono i loro cari».

Nei giorni scorsi in Vaticano si era parlato di una possibile mediazione portata avanti anche dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato ed ex Nunzio proprio in Venezuela: «La Santa Sede e il Segretario sono disponibili a fare tutto il possibile per il bene del Paese», ha dichiarato padre Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa: «Ma bisogna capire come l’intervento possa portare al risultato voluto e che ruolo possiamo giocare».