La città di Aleppo distrutta dopo i bombardamenti.

«L'addio alla mia storia»

Hanno dovuto lasciare tutto: la casa, il quartiere, i vicini. Antonia e la sua famiglia, nel campo dove si sono rifugiati, festeggeranno il Natale. Perché «al di là di tutto, la vita rinasce». Un'altra testimonianza da Aleppo...

Siamo una famiglia piccola, due belle figlie: Myriam e Joëlle. Vivevamo in una piccola casa del quartiere di Djabal el Saydeh, la “collina di Notre Dame”. Come molti dei nostri vicini, avevamo sempre sognato di avere questa piccola casa. Eravamo felici, la felicità di vivere in una casa.

Un giorno dell’estate del 2012, ci siamo accorti che della gente stava arrivando nel nostro quartiere. Avevano i volti stanchi. Sconosciuti nel nostro quartiere... Abbiamo subito capito: erano gli sfollati dai quartieri “caldi” della città, che cercavano rifugio. Hanno iniziato a dormire nel parco pubblico e poi, pian piano, si sono trasferiti nei locali delle scuole. C’erano molti bambini. Alcuni hanno trovato il coraggio di bussare alle nostre porte chiedendo una coperta, un pezzo di sapone, o qualcosa che li potesse aiutare a superare i primi giorni lontano da casa. I nostri vicini erano divisi. Alcuni li aiutavano, altri si rifiutavano con scuse diverse: un’altra cultura, un’altra religione... Ma per me e mio marito erano soltanto persone che avevano perso tutto.

Nel mio quartiere, un gruppo di volontari, i “maristi blu”, sono corsi in loro soccorso. Io mi sono unita a loro. Abbiamo cominciato a far giocare i bambini e poi a farli studiare. Un anno intero è passato così, vivendo con loro e condividendo le loro sofferenze e le loro speranze. Un giorno mi sono detta: «Verrà il giorno in cui anche io e la mia famiglia saremo obbligati a lasciare la casa a cui siamo così legati e abbandonare il quartiere dove sono nata».

Sfortunatamente quel giorno non ha tardato ad arrivare. Un giorno ci siamo svegliati con grida strane e sorprendenti. Ho avuto paura. Non riuscivo a capire se quel che sentivo era frutto della mia immaginazione. Ma era la realtà, la realtà che faceva paura, la realtà che uccide. Mia figlia maggiore è andata in panico, l’altra è si è ammutolita. Abbiamo sentito gli uomini armati rompere le vetrine, rubare le auto, minacciare la gente, spartirsi il bottino. «O Signore, che cosa sta succedendo? Vieni a salvarci dalla morte». Abbiamo passato tutta la giornata nella paura e nell’angoscia e quando è scesa la notte, paura e ansia sono aumentate. Nella nostra piccola casa avevamo una statuetta della Madonna, l’ho guardata e le ho detto: «Sono sicura che tu ci proteggerai. Non ne dubito. Nessuno oserà toccarci, perché tu sei con noi». Non so come, ma quella notte abbiamo dormito con molta pace.

All’alba tutta la gente era in strada. Morire o vivere insieme. Addio casa (mio marito, chiudendo a chiave la porta, si è fatto tre volte il segno della croce), addio quartiere, il mio quartiere, i miei vicini, la mia storia, il mio passato. Mi è tornata in mente la scena di Gesù che porta la croce e sua mamma che l’accompagna. Lei era là, lei ci ha aiutati a uscire da quell’inferno.
Il cammino? Un’eternità. Un tempo che non finiva più. Nel mio cuore balbettavo le parole del Salmo 26: «Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di chi avrò timore? Il Signore è la difesa della mia vita, di chi avrò terrore?». E mi sono ricordata anche quelle di San Paolo ai Romani: «Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?». Lungo il tragitto, gli sfollati che stavano nelle scuole ci supplicavano di aiutarli, ma io stessa, la mia famiglia, i miei vicini, tutti eravamo diventati come loro: sfollati. La strada saliva, la gente si disperdeva. Stavamo andando verso la vita o incontro alla morte?

Ci siamo avvicinati a un quartiere sicuro. C’erano degli amici che ci aspettavano. Poche parole: «Hamdellah al salameh». Grazie a Dio siete sani e salvi. È stato difficile riprendere, ricominciare, accettare di essere sopravvissuti. Una provvisorietà che dura. La realtà è stata dura da accettare. Il nostro quartiere è stato completamente distrutto. Nessuno ci sa dire che cosa ne è delle nostre case. Ma pian piano abbiamo sperimentato la presenza del Signore. Non ci vuole abbandonare. La solidarietà, le iniziative, i Maristi blu, ci sostengono. E la speranza sta rinascendo.

Questo Natale farò l’albero. Sarà il simbolo della vita. Anche se tutte le prospettive sembrano chiuse, nel nostro cuore, Maria ci indica un cammino di speranza. Noi ci risolleveremo per sostenere le tante vittime della guerra. Al di là di tutto, la vita rinasce.
Antonia, Aleppo