L'affido, la legge e la domanda di Maria Grazia

Nell'amicizia tra alcune associazioni che si occupano di affido ha preso forma un contributo per la modifica legislativa. A partire da quello con cui hanno a che fare tutti i giorni: il bisogno dei bambini. E delle famiglie che li accolgono
Paola Bergamini

Per Maria Grazia Figini, coordinatrice dell’Associazione Cometa, che dal 1987 rappresenta un punto di riferimento per tante famiglie che si impegnano nell’accoglienza di minori, la domanda scatta un giorno guardando due bambini in affido: di che cosa hanno bisogno? E subito dopo: cosa si può fare per loro anche da un punto di vista legislativo? Racconta: «Era un particolare che mi ha aperto una domanda sulla realtà dell’affido, con cui io avevo a che fare tutti i giorni. Una domanda che non mi lasciava tranquilla».

La prima mossa è chiedere a chi, impegnato nell’ambito dell’affido e dell’adozione, poteva condividere questa preoccupazione. È l’inizio di un lavoro. Intorno a un tavolo con gli amici delle Famiglie per l’Accoglienza e l’Associazione Fraternità, la legge n.149 del 2001 in materia di affido e adozione, viene letta e riletta per capire quali proposte si possono mettere in campo. Tanti incontri e momenti di lavoro hanno permesso che fiorisse «un’amicizia che non solo ci ha fatto dialogare, ma ci ha aiutato a capire quale era la strada da intraprendere», spiega Maria Grazia. «La diversità di esperienze che vivevamo è stata una ricchezza. Ognuno portava esempi, situazioni difficili, quindi, interrogativi su come muoversi. Abbiamo richiesto l’aiuto anche di persone esterne e tecnici perché tutte le possibilità andavano vagliate. Volevamo chiedere alla politica di interessarsi in maniera nuova a questo aspetto della società con cui noi avevamo a che fare e che investe tante persone».

Nel 2011 l’ossatura fondamentale di un contributo per la modifica della legge è scritta. Punto fondamentale: il riconoscimento giuridico effettivo dell’insostituibile ruolo delle associazioni familiari. La realtà insegna che la famiglia da sola non può farcela. Spiega Figini: «È necessario che sia accompagnata da una rete di sostegni e rapporti. La sfida educativa che è dentro ogni esperienza di affido a volte è davvero difficile». Un bambino in affido ha dentro di sé una ferita e provoca gli adulti in continuazione. È il suo modo di chiedere aiuto. A volte basta avere la possibilità di alzare il telefono e chiamare chi ha già vissuto questa esperienza. A volte, invece, c’è bisogno di specialisti - neuropsichiatri, psicologi - che in modo continuo accompagnino la famiglia. Serve una rete di rapporti sempre interpellabili». Ma allora è necessario che le associazioni diventino a tutti gli effetti interlocutori dell’autorità giudiziaria, che aiutino il giudice fornendogli elementi di conoscenza del bambino molto spesso decisivi per una decisione che tenga conto di tutti i fattori.
L’affido ha come obbiettivo quello di far rientrare il bambino nella famiglia di origine. Ma, sempre più spesso, si presentano casi in cui questo non è possibile e l’affido diventa sine die. In questi casi il bambino, pur mantenendo il legame con la famiglia di origine, ha bisogno di una stabilità, che i rapporti costruiti in tanti anni di vita con la famiglia affidataria non vengano perduti. «È utile, allora, prevedere che la famiglia affidataria abbia la possibilità, di fare domanda di adozione e quindi, previo accertamento del giudice caso per caso, che l’affido possa trasformarsi in un adozione "speciale"».

Non solo. La proposta di modifica della legge prevede anche che i genitori affidatari debbano essere sentiti su tutti i procedimenti civili riguardanti il minore, mentre oggi avviene solo a discrezione del giudice. «È necessaria una legge più flessibile perché ci troviamo di fronte a realtà familiari fragilissime. Situazioni che fino a qualche anno fa non esistevano. Crescono i minori allontanati dalle famiglie e posti in affido non per questioni di povertà, ma perché i genitori hanno problemi di alcolismo, droga, fragilità psichica. Bisogna guardare la realtà a 360 gradi. Non è più possibile fermarsi a meccanismi prestabiliti. Ma questo io capisco che per me attinge dalla mia appartenenza cristiana». Cioè? «La domanda di verità, di giustizia è sempre aperta. Non c’è nulla di automatico. Nella certezza di un bene: per me, per i bambini, per le famiglie con cui ogni giorno ho a che fare».
Da un punto di vista legislativo il lavoro di questi mesi è arrivato allo step finale. L'ultima audizione alla Camera è stata a dicembre ed è praticamente pronto il testo unificato delle proposte di modifica della legge pervenute alla Commissione Giustizia. Ora si tratta solo di aspettare il nuovo Parlamento. Sperando che non parta da zero.