Noi incidiamo sulla storia, minuto per minuto

Alla Sala Fontana incontro con Violini, Sala, Magatti, Storti e Scholz. A tema il volantino "Un bene per l'Italia e per l'Europa" in vista delle elezioni. Per capire che «arrivare a un giudizio maturo e personale, serve a una democrazia matura»
Paolo Perego

«Non è scontato che ci sia tanta gente a un incontro così. È sintomo del bisogno di ciascuno di capire quello che c’è in gioco». Apre così Guido Bardelli, avvocato, guida della Compagnia delle Opere-Milano, l’incontro sul volantino che l’associazione ha prodotto in vista delle prossime elezioni. “Un bene per l’Italia e per l’Europa”. Da dove ripartire? Da un punto di sicuro. Che arriva dopo due ore di dibattito, alla Sala Fontana di Milano, la sera del 7 febbraio. Ma che dà una chiave di lettura a tutto quello si è ascoltato fin lì. Le parole sono quelle di Bernhard Scholz, presidente CdO: «Noi incidiamo, minuto per minuto, sulla storia», ha detto, al termine del suo intervento a 360 gradi, in cui ha sviscerato, punto per punto, nodi (e temi di lavoro) che la prossima stagione politica sarà chiamata a sciogliere.
Nel mezzo ci stanno i primi tre interventi. Quello di Lorenza Violini, docente universitario di Diritto costituzionale alla Statale di Milano e presidente di una scuola cattolica paritaria della città, La Zolla, chiamata a dire della libertà di educazione e dell’incidenza sulla società. Poi, Stefano Storti, imprenditore nel marketing e nella comunicazione, sul mondo delle imprese e del lavoro. A seguire, Marco Sala, presidente di una onlus in ambito sanitario e assistenziale, “La nostra famiglia”, a raccontare di cosa voglia dire welfare oggi.
«Tre esempi per partire da quello che c’è, anche nella crisi», spiega Bardelli, da opporre alla «tentazione di partire dal passato. Oppure di sfuggire sul futuro, rimanendo sempre più nervosi o incerti». Può bastare? Serve anche capire il momento che viviamo. Da dove arriva, e quale futuro ci aspetta. Un tema su cui anche Mauro Magatti, sociologo della Cattolica di Milano, è stato invitato a rispondere.

«Nel quadro sociale in cui viviamo ci sono frutti maturi che chi si troverà ad amministrare la cosa pubblica non potrà non riconoscere», spiega la Violini. In termini di opere, ma anche di buone politiche. Siamo nel pieno di un’emergenza che arriva a intaccare la base stessa della vicenda educativa, fino a una crisi di fiducia nel tessuto delle relazioni famigliari. «Come quel ragazzo che mi ha chiesto una certificazione scritta da portare ai genitori, per convincerli di aver realmente superato un mio esame». E si parla di studenti universitari. Partire dalla realtà in campo educativo vuol dire, continua la docente, andare a guardare, per esempio, l’apporto in termini di bene comune che ha generato una rete di scuole libere in una città come Milano. E cita l’esempio di sant’Ambrogio, che per ridare spinta alla fede del popolo, circondò la città di basiliche con le reliquie dei martiri. «Anche questo momento storico ci chiede un’iniziativa, una responsabilità. E occorre riconoscere che luoghi come questi aiutano a ripartire, a riaffermare un modo più utile di stare sul reale»

«L’invito del volantino è chiaro» per Stefano Storti: «Il cuore di tutto è un soggetto, generato all'interno di un cammino saldo e robusto, che lo rende in grado di fare impresa economica e di sostenere chi fa più fatica». Al fondo di una traiettoria del genere, continua, ci sono tre aspetti. Intanto che il «lavoro è servire un altro, è che c’è nobiltà in questo». E poi c’è l’esperienza del limite, che uno da solo non ce la fa. Proprio da questo emerge il terzo punto, il mettersi insieme per costruire qualcosa. Solo da qui, secondo Storti, si possono guardare le problematiche connesse alla situazione di oggi. Dal recupero della “italianità” imprenditoriale alla valorizzazione di ciò che già c’è nel mondo dell’impresa. Allora, per esempio, si può andare a guardare come la flessibilità nel mondo del lavoro, in entrata e in uscita, sia una necessità imprescindibile. Oppure come altrettanto viscerale sia il tema della formazione e dell’apprendistato. In tutto questo c’è una chiave di volta: «La responsabilità personale. Che ciascuno faccia bene il suo».
Vale per l’impresa. Ma vale per tutto il resto. welfare compreso. Marco Sala è alla guida di una realtà che assiste oltre 15mila persone all’anno. Ex infermiere, con un passato negli ospedali ugandesi di Kampala, sul tema prova a ribaltare la prospettiva: «Proviamo a guardare il welfare come una cosa da conquistare e non un diritto». Come desiderio, dice. Il diritto è alla cura: «La figlia di un amico, quando stavo in Africa, ha preso la meningite. Ora, quell’amico si è caricato la bambina in auto per portarla nell’ospedale di Gulu, attraverso una regione insanguinata dalla guerra dei ribelli. Non si è fermato ad affermare un diritto. Ha preso la macchina ed è partito». Il welfare è, innanzitutto, la mossa di uno. «”La nostra famiglia” è nata così. Risposta ai bisogni che mano a mano si presentavano». Una modalità che oggi, tra le pieghe della burocrazia di una pur buona sanità, quella lombarda per esempio, risulta un po’ incastrata. Con il rischio che quel tentativo di risposta venga guardato solo come erogazione di un servizio».

«È una sorta di crisi adolescenziale dell’epoca della libertà», attacca il professor Magatti. Legge così la crisi, «strana, anche per il fatto che i Paesi occidentali sembrano incapaci di reagire, tutti presi a tentare di riaccendere una macchina grippata». Il suo è un sintetico affondo storico su quello che ci ha portato fin qui. Dagli anni Ottanta, la scoperta delle libertà, l’economia dei consumi che sostituiva quella del lavoro. E il ruolo marginale dell’Italia in questo processo, che si è inventata consumista, senza i mezzi, indebitandosi fino al collo. «La Seconda Repubblica fu un tentativo di riparare a questa marginalità», spiega il professore. Emerse un dato, allora: «Negli anni Novanta abbiamo assistito alla perdita della nostra identità nazionale, anche in nome di un’Italia a-cattolica, non anti-cattolica». Oggi vediamo le conseguenze, tra istituzioni lontane dalla società e cittadini lontani dalla politica. «E a pagarla è la generazione dei giovani, per i quali tutti si devono sentire responsabili».
Il passaggio obbligato, per Magatti, è verso le economie “del valore”, le uniche in grado di sopravvivere alla nuova globalizzazione: «Come? Intanto producendo capitale umano. Investendo sulla qualità delle persone. E iniziando a concepire questo non come un costo, ma come un investimento nel tempo, capace di portare ricchezza e “intrapresa” nel produrre quel valore». La crisi può essere dunque un’occasione “benedetta”. «Di revisione istituzionale, come era accaduto nel Dopoguerra, per esempio». Anche per l’Europa, per la quale la spinta può venire solo dai singoli Paesi. «In questo, l’idea di federalismo gioca un ruolo chiave, anche nel nostro Paese». C’è da lavorare su questo «in termini di “fare alleanza”. È finita la stagione della libertà individualistica. Dove tutto, famiglia, educazione, rapporti di lavoro, sembrava destinato a slegarsi».

A chiudere l’incontro è Scholz, partendo proprio dalla crisi della libertà: «Facciamo fatica a viverla come responsabilità, cioè, guardando al bene comune». Come in sequenza fotografica, il presidente CdO racconta di una situazione drammatica, in cui non bastano slogan elettorali per trovare vie d’uscita. La crisi colpisce tanti settori, ma incidere è anche il calo dei consumi. I dati sono davanti agli occhi di tutti. «Con un debito come il nostro di 2mila miliardi non c’è altra strada: dobbiamo crescere. Non trovo giusto che uno stato sovrano sia esposto ai mercati finanziari. Ma è così, e dobbiamo farci i conti. Perché gli interessi sul debito vanno pagati, e determinano le manovre economiche». Realismo, quindi, innanzitutto. E come si fa a crescere? Scholz, uno dietro l’altro, elenca una serie di punti di attacco. Dalla riforma della Pubblica Amministrazione, allo stato una giungla di burocrazia inefficace, al federalismo, perché «non si può prescindere dal dato che il 60% per cento della spesa pubblica sia decentrato. Questo riduce la spesa pubblica, non tagliare le “auto blu”». E poi il welfare, con la sua necessità di nuove normative per un settore che rappresenta più del 4% del Pil con 65mila posti di lavoro. Occupazione e formazione, ancora, sotto la lente della dignità del lavoro e della valorizzazione dell’apprendistato. E poi la voce calda delle tasse: «Da abbattere, senza l’illusione di farlo subito. Sarebbe una follia. Ma se qualcosa si può fare, si parta dalla famiglia». E così via. Innovazione, cultura, identità cristiane. Tutti punti raccolti nel volantino CdO. «Non è ideologia», chiosa Scholz: «Quello di cui parliamo è ciò che tutti possono vedere ogni giorno. Rendersene conto, andarci a fondo, arrivare a un giudizio maturo e personale, serve a una democrazia matura, la rafforza. È una libertà vissuta per ciò che è».