Gisela Solymos al Cren.

Fra i potenti della terra, per ricordare che la felicità è per tutti

L'annuale forum economico nella cittadina svizzera. A tema, crescita e povertà. Quest'anno c'era anche Gisela Solymos, direttrice del progetto Cren a San Paolo del Brasile. A raccontare da dove partire per aiutare chi ha bisogno
Francesca Capitelli

Il World Economic Forum riunisce ogni anno leader mondiali, imprenditori di tutti i settori, organizzazioni internazionali, nomi noti del mondo accademico e della società civile a Davos, in Svizzera. Lo scopo: discutere di economia globale, di crescita e sviluppo sociale, ma anche cercare strade e soluzioni di fronte alle continue trasformazioni del nostro tempo.

Tra i temi che finiscono ogni anno sul piatto, uno dei più importanti è la disparità sociale, che si lega a problemi come immigrazione, integrazione e povertà.
E tra i tavoli di lavoro e le conferenze di Davos, quest'anno c'era anche Gisela Solymos, psicologa brasiliana e direttrice del Centro di recupero ed educazione nutrizionale (Cren) di San Paolo, partner storico della ong italiana Avsi in Brasile. Il "link" è il premio "Imprenditore dell’anno", vinto nel 2011 da Gisela e dal Cren, e assegnato dalla Schwab Foundation, una non profit creata nel 1998 da Klaus e Hilde Schwab che opera, parallelamente al Wef, nel campo del sociale.

Gisela è stata invitata a raccontare di sé, e a confrontarsi con altre realtà. Lei che tutti i giorni lavora con bambini e adolescenti malnutriti o fortemente in sovrappeso, accogliendoli nelle strutture del Centro e si trova a stretto contatto con la povertà e l’ignoranza, «che per molte famiglie, ormai, sono diventate intergenerazionali». Le madri dei bambini accolti nei centri sono nate e cresciute nelle favelas di San Paolo, e non possono offrire ai figli prospettive di vita molto diverse dalle loro. «Il posto in cui una persona vive e a cui appartiene dovrebbe fornirgli un’identità». Ma se negli anni Settanta le migrazioni di massa hanno provocato un aumento della superficie degli slum, per cui milioni di persone hanno lasciato le campagne in cerca di condizioni di vita migliori, educazione e lavoro, col tempo, nelle nuove generazioni, costrette alla precarietà, si è radicata l’idea di non essere come gli altri esseri umani e non avere lo stesso valore. Il risultato è stato che le persone sono diventate fataliste, e si sono sentite svuotate di qualsiasi potere, arrivando persino a credere che se «la felicità esiste, in fondo non è fatta per loro», racconta Gisela.

«La povertà provoca una sorta di amnesia: la persona dimentica chi è e accetta le condizioni disumane in cui è costretta a vivere». Questa doppia composizione del problema spiega come mai gli interventi paternalistici, concentrati appena sul miglioramento delle condizioni materiali, falliscono.

Per questo Davos è stata un'occasione ideale dove affrontare il problema. «Una delle cose più belle, oltre alla possibilità di incontrare persone che veramente sono protagoniste del cambiamento nel mondo, è l’intensissima ricerca di una risposta», continua Gisela, che per quattro giorni ha partecipato a eventi, dibattiti e tavole rotonde. Tra queste, una era dedicata alle imprese sociali e alla loro sostenibilità a livello globale. Il moderatore era Zeid Ra’ad Al Hussein, Alto commissario ai Diritti umani, e l’obiettivo dell’incontro era riunire a una tavola di lavoro vari imprenditori in questo campo e compagnie che, invece, sono famose per non rispettare l’ambiente o le comunità locali. Un esempio su tutti, le compagnie minerarie. Un confronto utile, dice Gisela, a discutere delle soluzioni che si possano adottare, senza tralasciare l’aspetto umano e sociale dell’economia.

Così, durante i meeting internazionali, il metodo del Cren, che si basa sulla rieducazione alimentare dei bambini, e soprattutto delle madri e delle famiglie, viene spesso definito olistico, perché affronta le difficoltà nutrizionali da un punto di vista ampio, tenendo conto anche, e soprattutto, dell’aspetto psicologico. Altre istituzioni che operano nel campo della nutrizione infantile propongono il ricovero ospedaliero come unica soluzione, saltando il rapporto madri-figli.

Il metodo del Cren nasce invece da un modo di guardare alla realtà che non si fissa solo sull’aspetto materiale del problema, ma che arriva fino alla persona. «Solo guardando alle famiglie nello stesso modo in cui guardavamo noi stessi abbiamo potuto iniziare a costruire qualcosa come il Cren», conclude Gisela. Solo guardando agli altri come pari, che hanno lo stesso desiderio di felicità e amore, è possibile creare un legame indissolubile da cui far ripartire lo sviluppo sociale. Una lezione che a Davos, certo, non è passata inosservata.