Ruben Apressyan.

«Io, russo, parte di quel "noi"»

Ruben Apressyan, docente di Filosofia etica, e la lettera di Carrón dopo l'attentato di gennaio. Un contributo sul mondo islamico e sul ruolo di questa Europa «pluriconfessionale». Unico punto di costruzione, contro il «grande nulla» di oggi
Ruben Apressyan

È trascorso più di un mese dalla tragedia di Parigi, e sembra essere arrivato il momento di chiederci a che cosa ci chiama questa tragedia, che compiti ci pone e su che cosa dobbiamo riflettere, nonostante tutto il dolore e lo sgomento che abbiamo nell’animo. Questo il senso della lettera di don Julián Carrón, di cui condivido appieno lo slancio e la speranza. Io scrivo dalla Russia, ma mi ritengo parte di quell’ampio «noi», la cui identità e forma di vita sono state messe a repentaglio dal massiccio processo di immigrazione di esponenti di un’altra civiltà, cultura e soprattutto fede, e cioè l’islam, una religione che si trova in una situazione di reinterpretazione da parte di nuove autorità comparse.

In nome della pace e della mutua comprensione si è soliti pronunciare frasi di rito sulla pacificità dell’islam. E queste frasi sono un’assoluta verità. Con due nota bene: (a) che si parli dell’islam tradizionale, (b) perfino nell’islam tradizionale il precetto della pace non giungeva al precetto dell’amore e tanto più dell’amore ai nemici. Noi, gente comune, non abbiamo idea di quale sia la concezione (certo, non univoca) dell’islam contemporaneo. Questo dobbiamo assolutamente tenerlo presente ragionando sulla situazione attuale. In particolare, per meglio capire, ad esempio, quale sia il valore effettivo del dialogo per i musulmani, se dialogano con gente di altra fede.

Questo problema don Carrón non lo pone, limitandosi a insistere sul dialogo e sviluppando l’idea che bisogna astenersi dalla tentazione di instaurare l’ordine con l’aiuto della forza, che in assenza del diritto non può che trasformarsi in violenza. Ma Carrón indica perspicacemente anche un’altra cosa: chi siamo noi, che cerchiamo la comprensione reciproca, l’accordo e la cooperazione con l’ausilio del dialogo? Chi siamo noi, che nel nostro mondo abbiamo lasciato spazio al «grande nulla, al vuoto profondo che costituisce l’origine della disperazione»? Carrón si duole dei «tanti giovani» nelle cui anime regna il «grande nulla», che, per usare le parole di Albert Camus, vivono la perdita del significato. Ma dobbiamo riconoscere che il vuoto non sarebbe nato e cresciuto nei giovani, se questo stesso vuoto non si fosse insediato in noi, nel nostro mondo, nei nostri media.

L’Europa è plurinazionale e pluriconfessionale. E questa pluralità ha ormai raggiunto dimensioni di gran lunga superiori a quelle a cui l’Europa è abituata. È un fatto da cui non si torna indietro (un’analoga tendenza si può osservare sempre più chiaramente in Russia). Ma questo significa che il superamento del nulla e la riscoperta di un senso alla vita individuale, alla vita delle comunità e alla vita della società non può avvenire frammentariamente, cioè per alcuni membri e gruppi della società, e per altri no. Il compito di assicurare un cammino comune in questa lunga e ardua impresa è estremamente importante. Non sono sicuro che una società di fatto già interiormente divisa sia in grado di assolvere questo compito, sebbene senza società il compito sia irrisolvibile. Occorrono dei governanti che si preoccupino di assicurare occupazione agli immigrati di ieri, e un’istruzione, anche professionale, ai loro giovani. E occorre anche una politica più attenta di welfare, che impedisca il crearsi di condizioni di emarginazione e di irresponsabilità civile. Sono indispensabili programmi formativi e campagne pubblicitarie volte a limitare il consumismo sfrenato, a riproporre i valori del lavoro, del sapere, del gusto estetico.

Ogni confessione afferma di possedere «la Verità» per eccellenza. Nel mondo pluriconfessionale non esiste «una Verità», ma «le verità», ogni confessione ha la sua propria. È necessario uno sforzo interiore per riconoscere la molteplicità di queste concezioni che si propongono come la verità. Solo su questa base si può raggiungere un consenso nazionale e il senso comune della dignità nazionale.