Eugenio Mazzarella.

La buona moneta della "carità politica"

Guardarsi dal populismo della contestazione, o di chi sta al balcone nell'indifferenza. Il filosofo Eugenio Mazzarella approfondisce il giudizio del movimento in vista delle elezioni. E spiega perché ciò che ci aspetta ha a che fare anche con il Giubileo
Eugenio Mazzarella

«Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico», ha ribadito papa Francesco a Firenze, il 10 novembre 2015. Chi medita questo invito, ripreso nel volantino proposto da CL per le amministrative, La politica è un bene, ci trova l’indicazione più pertinente della forma di populismo oggi più insidiosa. Che non è il populismo che si organizza in politica, rappresentando il malessere e la disaffezione diffusa tra gli elettori per una politica incapace di dare risposte concrete ai tanti bisogni in circolo nella società. Quello che si esprime in una contestazione “di pancia”, come si usa dire, di ogni costruttività politica condivisa. Un populismo oggi abbondantemente rappresentato in Italia, come in Europa. Frutto avvelenato di una politica (cui resta speculare e di cui si alimenta) molto spesso, oltre che infruttifera per la società, anche incline a dare un’immagine di sé ben distante da quel tono di “disciplina ed onore” che la Costituzione esige da chi si assume l’onere e l’onore della rappresentanza politica.

Il populismo peggiore, da cui dobbiamo guardarci, è il populismo dell’omissione dall’impegno pubblico e civile: il populismo di chi sta al balcone, assistendo alla rissa senza futuro tra una politica impoverita delle sue ragioni ideali e della sua capacità di servizio alla comunità e un’antipolitica che su questa crisi cresce senza frutto per la società, assecondandone magari le spinte peggiori nelle angosce della crisi in cui è inviluppata.

È il populismo di una «stanchezza della libertà e della responsabilità» in cui, restando al balcone di un’indifferenza attenta solo a difendere il perimetro dei propri interessi, si spegne anche il «desiderio del bene». Del «bene pubblico», di cui parlava don Giussani come di una «esigenza di rapporti esatti, giusti fra persone e gruppi, l’esigenza naturale umana che la convivenza aiuti l’affermazione della persona, che i rapporti “sociali” non ostacolino la personalità nella sua crescita» (Il cammino al vero è un’esperienza).

Non spegnere questo desiderio di bene è quello cui ancora una volta, nonostante ogni stanchezza e ogni dubbio, siamo sollecitati in queste amministrative dall’evidenza della realtà. Perché anche nelle dinamiche sociali e politiche vale una legge della fisica: i vuoti si riempiono, e il vecchio adagio della circolazione della moneta - «la moneta cattiva scaccia quella buona» - è rafforzato nella sua empirica verità dal non trovarne moltissima, in giro, di moneta buona fatta di impegno politico e pubblico.

La Chiesa “in uscita” chiesta da Francesco è anche una Chiesa, nella disponibilità dei suoi credenti come cittadini, che si impegni per una società più giusta, in un’idea di servizio senza tornaconto personale - che è quella di cui la politica italiana ha bisogno come il pane, il pane di un impegno da condividere con tutti. «La politica è un bene» perché l’altro è un bene, e l’altro non lo incontro solo in famiglia, magari alle mie spalle mentre sto al balcone, quando chiudo le imposte; ma l’altro lo incontro uscendo di casa, nella relazione sociale, nei rapporti economici e di lavoro, nel confronto delle idee e degli interessi: nello “spazio pubblico”, l’ineludibile spazio della “politica”. Non ne abbiamo di diversi, non ne possiamo inventare di nuovi, per la nostra vita associata.

Ma la politica è un bene, se è fatta bene. Solo che la politica buona non si fa da sola. La facciamo noi, se ci crediamo. Se crediamo alle parole nostre, al desiderio di bene che diciamo di avere, e che non possiamo limitarci ad esigere a parole o magari neanche quello, seduti rassegnati alla finestra della nostra inerzia. Dalla “cattiva politica” della politica e dell’antipolitica di cui ci lamentiamo, ci salviamo solo ritrovando in noi, in tanti di noi, le ragioni per provarci a farla meglio. La “carità politica” è un volto della misericordia, ha più volte ricordato Francesco. In politica, l’anno della misericordia è sempre aperto. E ha bisogno di tanti che ne passino le porte.