Gabriele Toccafondi.

Toccafondi: «Paritarie, ecco perché non si taglia più (anzi...)»

Tra referendum e cambio di Governo, c'è una novità che vale la pena sottolineare. Per il merito. E per il metodo... «Un passo sulla strada verso la libertà di scelta educativa», secondo il Sottosegretario all'Istruzione
Paolo Perego

Periodo complesso quello della vita del nostro Paese, tra il referendum e il nuovo Governo appena insediato a Palazzo Chigi, con tutti gli strascichi di analisi e polemiche che accendono discussioni dai palazzi della politica fino ai bar di periferia. Non è passata inosservata la legge di stabilità approvata dal Parlamento, prima della remissione del mandato del Governo Renzi. Quello di cui forse si sono accorti in pochi è che in questa manovra c'è un contenuto molto interessante, che riguarda la parità scolastica e le nuove risorse destinate alle scuole non statali. Per il merito della cosa, intanto. Ma anche per il modo con cui ci si è arrivati. E che vale la pena approfondire con Gabriele Toccafondi, fiorentino, classe 1972, fino a oggi sottosegretario al Ministero dell'Istruzione: «Una volta quando si parlava di scuole paritarie, ci si limitava a parlare di tagli. Oggi, finalmente, non è più così».
 
Dati alla mano, cosa c'è sul piatto?
Parliamo di 575 milioni di euro destinati alle paritarie e delle detrazioni per le spese "di educazione", e quindi anche delle rette, che arriveranno, nel 2019, al tetto degli 800 euro a figlio. Il doppio rispetto a oggi. Una goccia, certo, rispetto agli oltre sei miliardi che la scuola paritaria, a conti fatti, fa risparmiare allo Stato. Ma quando sono arrivato all'Istruzione, il fondo per le paritarie era di 278 milioni. E senza detrazioni per le famiglie. Oggi invece è salito a 500 e stabili per il futuro, più 24,5 milioni destinati alla disabilità, un anno fa semplicemente non esistevano, che verranno distribuiti proporzionalmente ai bisogni delle singole scuole. E poi c'è la voce "scuole materne" che segue lo stesso trend. Anzi, i 25 milioni previsti dalla proposta di legge sono diventati 50 dopo il passaggio in Parlamento. In Italia ci dividiamo sempre tra chi vede il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto; va bene, fa parte di una certa mentalità, ma se vogliamo dire che il bicchiere è mezzo vuoto dobbiamo anche dire che prima non c'era neppure il bicchiere. 
 
Qual è la ratio di questa scelta?
Si inizia a riconoscere il valore pubblico dell'educazione non statale. Penso alle materne, per esempio, in gran parte d'Italia architrave dell'accoglienza dei bambini. A volte sono le uniche esistenti in certe zone o in alcuni quartieri di grandi città. Per quanto riguarda le detrazioni, ci siamo battuti molto perché rappresentano un aiuto diretto alle famiglie. Si parla spesso di libertà scolastica. Io preferisco parlare di libertà di scelta educativa. E questa spetta alle famiglie.
 
È la sua idea?
Lo dice la Costituzione, intanto. Ma questo, oggi, è possibile sulla carta, mentre nella pratica ci sono molti ostacoli ancora da superare. Economici intanto, anche se le paritarie sono un risparmio per lo Stato. E ideologici spesso. Anche se poco - il risparmio fiscale su 400 euro è di 78 - per noi è importante un principio: per la prima volta dopo 70 anni di Repubblica si è riconosciuto che l'educazione dei figli, anche la retta per una paritaria, ha un valore per tutti. La strada è verso la possibilità di portare in detrazione tutto quello che si spende per l'educazione. Inoltre nella Legge di stabilità questa cifra passa a 800 euro nel triennio. 
 
Ha parlato di ostacoli economici e muri ideologici. Come si è arrivati a questo cambio di mentalità?
Con tanta pazienza e tanto realismo. E dialogando con tutti. Con quelli disposti a farlo, chiaramente. Sono sempre stato in una minoranza dal punto di vista politico. Su alcuni temi, come la scuola, ho sempre avuto certe idee, disposto a tutto, da buon toscano, per difenderle. Ma mi sono ritrovato a fare i conti con altri numeri, costretto, in qualche modo, al dialogo. Ovvero, a dare le ragioni di un'idea, non a difenderla in modo ideologico o per "colpi di maggioranza". In questo ho trovato molti compagni di viaggio. Vecchi amici e nuovi, al di là degli schieramenti.
 
Per esempio?
Arrivato da poco in Parlamento e chiamato alla Commissione bilancio, ho cercato di spiegare ai miei colleghi, quando si discuteva di tagli alle scuole non statali, per rimanere nel caso, che la parità scolastica era una cosa che si poteva conoscere ideologicamente oppure si poteva andare a vedere sul campo di cosa si trattava. La realtà la conosci per quello che è oppure te la immagini. Ma se la immagini allora diventa ideologia. Ho sempre sfidato chiunque, con i numeri, con le storie e con la Costituzione alla mano, che le paritarie sono scuole vere, che rispettano le leggi statali e che fanno risparmiare tanti soldi. Un bimbo che nelle scuole statali costa in media 6.500 euro, nelle paritarie costa 500 euro allo Stato. E parliamo di un milione di studenti. «Andate a vedere, bussate in qualcuna di queste realtà», dicevo a chi era contrario per partito preso. E qualcuno ha iniziato a scoprire un mondo.
 
Non sembra il classico compromesso. Normalmente si pensa al bilancino quando si parla di dialogo politico. Tipo: «Va bene, aiutiamo le paritarie, però in cambio...».
La politica è anche compromesso. Fa parte della sua natura. Ma deve essere sulla base di un dialogo che è guidato da realtà e buon senso. Come in questo caso. A volte si può arrivare a una sintesi dopo interminabili riunioni accesissime. Ma la questione sta tutta nel confronto di ragioni.
 
Ma cosa fa spostare la politica su questo piano?
Il realismo, la lealtà con ciò che c'è e si vede. Se uno ti alza un muro davanti, non ci sono speranze... Io non avevo il pallino della scuola. Sì, ho dei figli che frequentano le paritarie. E una certa sensibilità maturata nella vita a proposito di educazione. Ma questo tema mi è capitato tra le mani letteralmente. Non l'ho cercato.
 
Cioè?
Nel 2008 sono entrato in Parlamento perché amo la politica. "Novellino", a una delle prime riunioni della Commissione bilancio ho iniziato a sfogliare il "tomone" con tutta la legge in discussione. Dopo poche pagine, alla voce tagli, l'occhio è caduto sulla scuola paritaria. Che fare? Non era "la materia mia", ma ce l'avevo davanti. Ho iniziato a cercare di capire come muovermi, di imparare. Non sapevo come fare un emendamento parlamentare, per esempio. Perché non c'è una scuola, nessuno ti insegna queste cose. Il tema "paritarie" è stato la modalità in cui si è espressa la passione politica. Se dovessi scegliere io tra cosa mi piace e cosa no, alla prima sconfitta mollerei tutto. Come nel caso dell'Imu per le scuole non statali.
 
Cosa è successo?
Abbiamo provato in tutti i modi, di fronte alle direttive dell'Europa, di far capire che il carattere "commerciale" non poteva essere il discrimine per pagarla. Piuttosto, si doveva considerare se il "fare scuola" fosse una attività lucrativa o meno. Perché altrimenti anche la mensa dei poveri è una attività commerciale in senso stretto: basta avere un contratto del gas, o della luce. Ma non ci siamo riusciti. Ostinati rispetto alle ragioni che avevamo, abbiamo lavorato tanto dopo, sull'interpretazione delle norme, rimediando.
 
Quindi nella "buona politica", già il lavoro è un guadagno, non solo il risultato, la vittoria…
In queste dinamiche io ho riscoperto la bellezza della politica. Si parla sempre di politica brutta, sporca, cattiva… Ma cosa la salva? Una formula? Un'idea? No, solo un lavoro e il rapporto con le persone. Per questo non ho rimpianti o rammarichi per ciò che si poteva e non si è, meglio, non si è ancora riusciti a fare.