Monsignor Filippo Santoro.

Il Venerdì Santo di Puglia: tra dolore e generosità

Le domande e i perché dell'incidente. Ma prima, il conforto e il sostegno alla «nostra gente». L'editoriale dell'Arcivescovo di Taranto all'indomani della sciagura sulla tratta ferroviaria tra Andria e Corato (da "La Gazzetta del Mezzogiorno", 15 luglio)
Filippo Santoro*

Come altri miei confratelli vescovi ho manifestato la mia solidarietà al vescovo di Andria, monsignor Luigi Mansi, per il grande dramma che sta vivendo insieme ai suoi fedeli tra il dolore ed il sangue. Intensamente impegnato nell'assistenza materiale e spirituale, mi ha detto che il bisogno più grande è quello di pregare per sostenere e confortare la nostra gente terribilmente ferita. Poi vengono tutte le domande e gli atti di accuse: il binario unico, il sistema inadeguato di monitoraggio, l'arretratezza del Sud. Come pure una domanda si annida tra le tante considerazioni di chi cerca anche la luce della fede ovvero: «Il Signore non poteva impedire questa strage?». Certo che poteva, ma si sarebbe sostituito al flusso degli eventi e a quanti avevano la responsabilità e il dovere di prevenire il disastro. A volte Lui entra nelle cause seconde, come quando cura inspiegabilmente da un cancro, ma proprio Lui, per salvarci, non ha invocato il potere del Padre contro i malvagi e gli inetti, ma ha pagato di persona di fronte al cumulo delle ingiustizie.

Quanto dolore, quanta comprensibile disperazione, quante lacrime mischiate al sangue delle vittime e dei feriti. Un dolore che non vogliamo, che ognuno rifugge perché siamo fatti per la vita e tutta la vita chiede la giustizia e l'eternità. A questo sangue Cristo ha unito il suo e questo sangue è il segno del sangue che continua ad essere versato sui binari delle guerre, del terrorismo, del razzismo e del ritardo, della arretratezza di un Mezzogiorno d'Italia che ancora una volta mostra il suo lato più fragile dove sono gli innocenti a pagare. Un semplice Gps nei due treni poteva essere utile.

Di contro vediamo tanto sangue donato in una straordinaria gara di solidarietà da lunghe code di donatori, tra cui anche i ragazzi del Cara di Palese, presso il Policlinico di Bari. Anche questo è il sangue dell'amore e della fratellanza. È un grande sollievo che salva la vita a tanti feriti. Questo è il volto vero della nostra Puglia: ferita, ma che dona la vita; lavora, si impegna nel rapporto e soffre la morte di ogni persona come se fosse quella di un proprio familiare. È profondamente necessario che sia fatta giustizia e che siano accertate le responsabilità del disastro.

Ma mi domando: quei 23 morti, che hanno un nome, sono perduti? Sono persuaso che quel sangue di Gesù li riscatta e li conserva in una vita che gli uomini non hanno saputo difendere, ma che Lui accoglie per sempre nel suo costato ferito e risorto.

Ci preme una responsabilità grande quanto un macigno perché le cose nel nostro Sud non rimangano ingiudicate e ferme al passato, mentre in Italia e nel mondo si procede su binari diversi. Ora siamo come quegli ulivi, testimoni muti del disastro, fortemente uniti alle famiglie delle vittime e dei feriti; ma anche alle famiglie di chi ha prodotto il disastro, anche esse ferite dal dolore e dal rimorso.

*Arcivescovo di Taranto

(Da La Gazzetta del Mezzogiorno, 15 luglio 2016)