Il convegno sulla scuola dell'Intergruppo per la <br> Sussidiarietà.

La realtà è che la scuola ha due gambe

Una riforma annunciata e tanto attesa. E ora rimandata. Ma intanto se ne discute. Come a Roma, ieri, con l'Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà. Dove per quattro ore si è parlato di scuole pubbliche. Cioè, statali e paritarie...
Paolo Perego

«Se pensi che la conoscenza costi troppo, prova con l’ignoranza». Raffaello Vignali, parlamentare Ncd, cita un cartello che qualche anno fa ha visto davanti all’università di Harvard. Un po’ tranchant, ma utile sintesi del Convegno sulla scuola organizzato ieri dall’Intergruppo per la Sussidiarietà che da anni si muove tra gli scranni di Camera e Senato. Come dire: signori l’educazione è cosa nostra, è troppo importante, investirci è prioritario. La scuola pubblica tutta, come recita il titolo dell’evento: “Statale e paritaria. Passi condivisi per un cambiamento”. «Il momento è perfetto per parlarne», dice Vignali, con una riforma lanciata mesi fa, attesa e, di fatto, rimandata alla presentazione di un disegno di legge in Consiglio dei Ministri il prossimo martedì.

Tanti i nodi da sciogliere, e tra questi alcuni toccano direttamente gli istituti paritari. Uno lo sottolinea il senatore Mario Mauro, il separare la questione dell’assunzione di 160mila docenti precari dalla riforma dell’intero sistema pubblico, ovvero, considerando anche gli istituti non statali: «Li svuoteremmo di insegnanti».

Ma sul piatto ci sono anche i temi del sostegno all’educazione e della libertà di scelta, nelle parole del sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, intervenuto al termine del convegno: «Tre i punti chiave del disegno che presenteremo, con l’orizzonte di tutta la scuola pubblica: la possibilità di destinare il 5 per mille all’istruzione, il credito di imposta al 65% per chi accetta commesse e lavori nella scuola, la detrazione delle spese legate all’istruzione per le famiglie. Per mettere mano alla scuola bisogna partire dalla realtà. E la scuola italiana ha due gambe: le statali e le paritarie». Per fare strada servono entrambe.

Questo il quadro in cui si sono inseriti i lavori che per quattro ore hanno impegnato i relatori e la folta platea della Sala Regina alla Camera dei Deputati. E proprio perché si parte da ciò che c’è, la realtà, i primi due panel raccontano fatti.

Dell’esperienza spagnola, per esempio, ha parlato il senatore iberico Luis Peral Guerra introdotto dall’onorevole Gugliemo Vaccaro, Pd, coordinatore con Vignali e Antonio Palmieri dell’Intergruppo. Guerra ha snocciolato i numeri di un’iniziativa partita dieci fa, col sostegno ai Comuni da parte delle amministrazioni regionali nell’affidamento di terreni demaniali per la costruzione e la gestione di istituti scolastici, con grande risparmio per le casse locali e l’incremento della qualità dei servizi. Quindi, il caso delle charter schools americane, enti che nascono per iniziativa delle famiglie dove l’istruzione statale è carente e che sono sostenuti economicamente dalle amministrazioni. E ancora, esperienze, europee e non, raccolte dal Consiglio Europeo delle Associazioni nazionali delle scuole indipendenti, tra le slides di Sofie Reis: «Parliamo di realtà diversissime in contesti differenti. Una diversità che arricchisce tutti. E che va guardata, perché richiede soluzioni ad hoc in ogni Paese».

Ancora una volta è la realtà il punto da guardare. Anche in Italia. Con Valentina Aprea, assessore in Lombardia, a spiegare il cammino e l’evoluzione della Dote, un programma che da anni sostiene gli enti educativi non statali «riconoscendone il valore pubblico, spesso supplendo, in questo, alla cecità dello Stato». E poi la Toscana dell’assessore Emmanuele Bobbio, col racconto, tra le altre, dell’esperienza del sostegno alle scuole di infanzia aiutando i Comuni: «Perché, spesso lo scordiamo, ma anche gli istituti comunali sono paritari, non solo quelli gestiti dai privati».

«La questione non è solo se dare soldi alle scuole non statali». Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, partner scientifico del Convegno, rivendica la sua provenienza cattolica, ma sposta il problema dalla necessità di sostenere gli istituti religiosi: «Quella è una conseguenza. Il problema è guardare a cosa può alzare la qualità della scuola italiana e renderla competitiva all’estero». La chiave è nell’autonomia «secondo tre punti: budget, libertà di insegnamento e parità tra statale e non». Vittadini auspica un circolo virtuoso, in cui diventa necessario, col sostegno alle famiglie, e non agli enti, dare le stesse possibilità a tutti di accesso all’istruzione di qualità: «Chi ci guadagna è la collettività».

Di casi esemplari, diversi e in situazioni differenti anche per cultura, ma che funzionano, ce ne sono. Quelli raccontati, per esempio, da Antonio Petrolino, TreeLLLe (Life Long Learning), che ha presentato una ricerca sull’istruzione non statale in alcuni Stati europei. Dal caso olandese, dove le scuole statali sono pochissime, a quello inglese, dove la gestione privata di scuole statali malfunzionanti, soprattutto in quartieri degradati, ha visto in pochi anni emergere Academies che oggi sono un fiore all’occhiello del sistema scolastico d’Oltremanica.

«Pubblico opposto a privato: chi si ferma qui è ideologico. E ce ne sono tanti, anche negli ambienti intellettuali, a pensarla così». Luigi Berlinguer, ex ministro dell’Istruzione nel governo Prodi, tra il 1996 e il 2000, con la legge 62/2000 fece rientrare le scuole paritarie nel sistema scolastico pubblico italiano. Oggi difende, anche a voce alta, quella strada imboccata anni fa «contro lo statalismo, che uccide la dialettica tra le diversità che, invece, è un fattore di crescita e di arricchimento per tutti». Di più, l’incontro e la convivenza di esperienze differenti sono fondamentali: «Salvo pochi, diciamo di voler restare in Europa. Ma perché non vale per la scuola? Guardiamo la scuola europea: e noi? Dove siamo?». Serve una scuola di qualità, per creare il vero capitale umano: «Ben vengano alcune idee delle linee guida della riforma. Dobbiamo superare l’idea di una scuola “logocentrica”, ovvero volta solo a formare l’uomo razionale». Arte, musica, cultura: «Riguardano il soggetto, le sue emozioni. La sua libertà». La sua umanità: «La scuola deve diventare attraente, un posto in cui uno studente possa vivere, non solo imparare».

«È questa la realtà», chiude Toccafondi. «Senza guardarla si diventa ideologici». «Come me, forse», fanno eco le parole dell’onorevole Paola Pinna, M5S, “silurata” poco tempo fa dai suoi: «Ho sempre pensato secondo lo schema “se dai soldi alle private li togli alle statali”. Oggi sono venuta per capire, piena di questo pregiudizio. Ecco, la realtà è un’altra cosa». Ancora una volta.