"Dentro il cambiamento epocale. Cristiani in Medioriente <br>e migrazioni forzate". Roma, padre Pizzaballa.

Profughi: a Roma parla la speranza

Padre Pizzaballa, Michele Valansise e il teologo musulmano Adnane Mokrani. Sono i tre ospiti dell'incontro organizzato da Avsi e Fondazione Oasis martedì sera alla Sapienza. Schengen, primavere arabe e persecuzione dei cristiani al centro del dibattito
Alessandra Buzzetti

Una ferita profonda ha pericolosamente minato la fiducia tra cristiani e musulmani, in questo Medioriente che non ha più il volto del passato, ma a cui è difficile delinearne uno futuro. Padre Pierbattista Pizzaballa non nasconde timori e preoccupazione nel descrivere la situazione dell’intera regione mediorientale, teatro, negli ultimi cinque anni di un esodo epocale. E non solo di cristiani.

L’ultimo viaggio in Siria del Custode di Terrasanta risale a poco tempo fa, ad Aleppo, dove sono evidenti gli effetti irreparabili della guerra. Se fino all’anno scorso i civili rimasti - cristiani e musulmani - si aiutavano a vicenda, oggi la fiducia reciproca sempre definitivamente rotta.

«Dopo l’ennesimo bombardamento, ho visto che le comunità contavano solo i propri morti. La risposta del parroco cattolico e dell’imam musulmano - entrambi miei amici - è stata praticamente la stessa: ci siamo fatti troppo male», racconta padre Pizzaballa davanti a una platea attenta all’Università La Sapienza di Roma, durante l’incontro promosso da Avsi e Fondazione Oasis.

Accanto a lui un diplomatico di lungo corso, Michele Valensise, segretario generale dei Ministero degli Affari esteri, e il teologo musulmano Adnane Mokrani, docente di islamistica all’Università Gregoriana e al Pontificio istituto di studi arabi. Al centro del dibattito quel cambiamento epocale, evocato da Papa Francesco, che ha generato feroci persecuzioni contro ogni minoranza religiosa e un flusso ininterrotto di migranti forzati.

«Non possiamo più parlare di emergenza emigrazione, ma di una realtà ormai strutturale dell’Europa», sottolinea Valensise ricordando che nel nostro continente è arrivato “solo” uno dei sessanta milioni di profughi che si contano oggi nel mondo. «È evidente a tutti», sottolinea il diplomatico «che non ha senso mettere in discussione la libera circolazione sancita dalla convenzione di Schengen - una conquista di tutti i cittadini europei -, ma caso mai rafforzare il perimetro esterno dell’Unione Europea per farne un’area più ordinata, in cui sia possibile accogliere chi ne ha più bisogno, e non una fortezza».

Una strada percorribile solo con un coinvolgimento reale, non imposto, tanto meno con le armi, ai Paesi da cui i migranti scappano. Di un’azione urgente condivisa parla anche chi guarda l’Europa dalla sponda opposta del Mediterraneo. «Sono tunisino e sono un teologo, non un diplomatico», premette il professor Mokrani, prima di offrire un’interessante analisi del passato recente, con cui leggere il presente. Ricordando come solo fino a sessanta anni fa la presenza cristiana, fosse una presenza importante in Medioriente, il motore culturale fondamentale del pluralismo, il teologo musulmano definisce la primavera araba come il crollo dello Stato moderno post coloniale.

Se il modello turco di Ataturk è fallito perché la laicità imposta senza democrazia impoverisce necessariamente il pluralismo, ugualmente senza prospettiva sono stati i regimi arabi - da Saddam Hussein ad Assad - che proteggevano le minoranze cristiane di fatto solo perché innocue. Davanti alle primavere arabe, al grido autentico di democrazia e giustizia, da un lato gli Stati nazionali non hanno avuto più la forza di mantenere lo status quo, dall’altro l’Occidente ha fatto poco e sbagliato molto, dal’Iraq alla Libia. Il risultato, secondo Mokrani, è stato il terrorismo cieco del Califatto, una nuova forma di dittatura che nega il principio stesso del pluralismo.

«La guerra è devastante», continua ancora il teologo, «perché, come un acido, corrode in profondità il tessuto sociale e la psicologia dei popoli. Non possiamo più vivere pensando di essere salvi nella nostra nicchia protetta. Per non cadere nella trappola dei terroristi dobbiamo agire insieme e subito, per trovare soluzioni comuni e una via di dialogo e speranza. Come indica Papa Francesco, alla ricerca di interlocutori musulmani radicati nell’impegno per la pace e per la giustizia».

C’è, però, una condizione indispensabile al dialogo, sottolinea padre Pizzaballa: la verità. «Come dopo la Seconda Guerra mondiale, è stato chiesto ai cristiani quanto la nostra religione avesse contribuito alla tragedia della Shoah, oggi è necessario porre la stessa domanda all’Islam sulle atrocità compiute dall’Isis. Sulla verità non si può transigere». Perché la minaccia dei fondamentalisti del Califatto islamico è una vera e propria sfida alla modernità.

Da dove ripartire, allora, quando si dovrà ricostruire sulle macerie di una guerra che oltre ad aver ridotto le minoranze a una presenza numericamente ininfluente, avrà distrutto le fondamenta della convivenza sociale e la fiducia nel cuore delle persone? Se il musulmano Mokrani parla della necessità di rifondare lo scopo stesso delle religioni, padre Pizzaballa sottolinea il compito della Comunità internazionale, che deve esser esigente verso i Paesi musulmani protagonisti della guerra di potere di oggi, ma ricorda anche il ruolo indispensabile delle minoranze, specialmente cristiane. «Anche se saremo sempre di meno», conclude, «siamo determinati a restare ben radicati nelle nostre terre. Lo vedo in Iraq ein Siria, dove chi è rimasto non ha rinnegato la sua fede. Anche a costo di farsi tagliare la testa». La brace della speranza non si spegne sotto le macerie.