"La scuola di cui ha bisogno il nostro Paese",<br> l'incontro a Brescia.

Per insegnare ai ragazzi "il sapere di non sapere"

Giorgio Vittadini, Luigi Berlinguer e Giuseppe Bertagna riuniti attorno a un tavolo a parlare di scuola. Cronaca dell'incontro all'Università Cattolica, dove tra globalizzazione e vecchi sistemi scolastici, si è rimesso al centro lo studente
Maria Luisa Minelli

«Ci vorrebbe una scuola che produca imprevisti, ecco quello di cui avrebbe bisogno il nostro Paese». Le parole di Giorgio Vittadini, professore di Statistica Metodologica all’Università di Milano Bicocca e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, vengono accolte con stupore e consenso dai presenti in Aula Magna dell’Università Cattolica di Brescia. È solo una delle provocazioni lanciate dall’incontro “La scuola di cui ha bisogno il nostro Paese”, secondo appuntamento del ciclo “Incontri d’autunno”, organizzati dalla Fondazione San Benedetto in collaborazione con ilsussidiario.net.

Un dibattito sul sistema scolastico, quello di lunedì 26 ottobre, che aveva tutte le caratteristiche di un tavolo di lavoro. E non solo per gli ospiti, come il professor Luigi Berlinguer, ex Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Bertagna, ordinario di Pedagogia Generale all’Università di Bergamo e lo stesso Vittadini. Ma soprattutto perché alle domande poste dal moderatore Giacomo Ferrari, preside del Liceo Scientifico Luzzago, sono arrivate risposte concrete, spunti di lavoro per un reale cambiamento.

«Basta parlare di scuola pubblica o privata, questa dovrebbe essere solo una particolarità», spiega Berlinguer: «Il vero punto da guardare è che il nostro sistema scolastico è arcaico», per questo motivo la scuola italiana è sempre in fondo alle classifiche europee. Per cambiarlo, continua l’ex ministro, bisogna partire da una parola che troppo spesso viene dimenticata nei grandi dibattiti: studente. Ma se è dall’attenzione ai ragazzi che può nascere lo spunto per un vero rinnovamento, chi sono i giovani di oggi, e di cosa hanno bisogno? «Devono saper stare davanti a un mondo che cambia velocemente», risponde Vittadini: «Devono saper affrontare gli imprevisti, avere personalità».

«Le sfide della nostra epoca sono cambiate», continua Bertagna, sulla stessa linea: globalizzazione, nuove tecnologie, immigrazione e multicultura, quelle citate dal pedagogista. «E allora perché l’impianto scolastico è lo stesso di cento anni fa?».

La prima cosa da cambiare è il ruolo dell’insegnante: «Bisogna tornare a parlare di educazione», spiega Berlinguer: «Il compito del maestro non deve essere solo quello di inculcare conoscenze, devono saper educare al bello», in un’attenzione al singolo, alle sue capacità espressive. «I docenti non devono essere professionisti del sapere ma devono far amare ai ragazzi il “sapere di non sapere”», continua Bertagna: «Il desiderio di scoprire è la dimensione per la crescita umana. L’uomo è strutturalmente mancante, un individuo che non ne ha coscienza è dimezzato». E noi «abbiamo bisogno di persone che sappiano stare nella realtà», insiste Vittadini.

Altri punti concreti su cui lavorare sono interdisciplinarità, rapporto con il mondo del lavoro e apprendistato, «il più antico ed efficace sistema di apprendimento», per usare le parole di Bertagna.

La parte finale dell’incontro è affidata a un passo di Anna Karenina, quando parlando del figlio della donna, Serëža, Tolstoj scrive: «Secondo il padre, egli non voleva apprendere quello che gli insegnavano. In realtà invece non poteva studiarlo. Non poteva perché nell’animo suo c’erano esigenze più imperiose di quelle che presentavano il padre e l’istitutore». Ha concluso Ferrari: «Quello che ci auguriamo è che la nostra scuola riesca sempre più a stare davanti a tutti i Serëža del nostro Paese».