Rose e i suoi amici a pranzo coi detenuti di Padova.

PADOVA Una giornata (tra le sbarre) con Rose

Metà agosto. Una singolare comitiva di ugandesi entra nel carcere Due Palazzi. Vanno a trovare alcuni amici detenuti. Poche ore passate insieme. Dopo cui nulla è stato più come prima
Paola Bergamini

«Hai sentito? Torna la Rose!». «Quando?». «Tra un mese. E viene con dei suoi amici». Questa voce correva nei corridoi del carcere di Padova a metà luglio. E il 16 agosto i cancelli del Due Palazzi si sono aperti per far entrare Rose Busingye, responsabile nel Meeting Point di Kampala in Uganda. Esattamente un anno dopo è tornata a trovare i suoi “amici” carcerati. Questa volta con lei c’erano sei ragazzi della comunità ugandese e suor Boniconsilii Ngabirano, responsabile della scuola “Luigi Giussani” a Kampala. I carcerati l’aspettavano. Quell’incontro aveva lasciato un segno indelebile nel loro cuore. Ne avevano parlato con tutti. Nicola Boscoletto, uno dei responsabili della cooperativa Giotto, ha accompagnato il gruppetto a visitare i padiglioni delle attività, ma il suo ruolo si è fermato lì. Lo aveva detto qualche giorno prima: «Questa volta si cambia. È la vostra giornata quindi dovete occuparvene voi, cominciando a spiegare ai nostri amici cosa fate nei laboratori». Protagonisti della propria vita. Alle 13 il pranzo con una decina di detenuti, che da un anno fanno Scuola di comunità, alcuni amici della comunità di Padova e il direttore del Due Palazzi, che da quel momento è sempre stato con loro. E subito la prima sorpresa: alla fine i ragazzi ugandesi si sono alzati e hanno intonato La montanara e altri canti degli alpini e della loro tradizione. Tutti ammutoliti e affascinati da quelle note, magari sentite tante altre volte, ma mai così vibranti di una nuova bellezza. Poi l’incontro nell’auditorium del penitenziario. E ancora al tavolo dei “relatori” tre detenuti. Giovanni, Marino e Franco hanno raccontato di sé, di un incontro, avvenuto anni prima attraverso il lavoro in carcere, con degli amici che gli avevano fatto percepire che la vita può essere bella anche dentro il peccato più orribile, dentro l’errore, perché abbracciata da Qualcosa di più grande. Per cui vale la pena vivere anche se sulla tua cartella c’è scritto «fine pena: mai». Rose ha parlato di sé e del suo lavoro con i malati di Aids. I ragazzi delle loro esperienze tragiche: abbandonati piccolissimi, senza genitori a volte trasformati in soldati, bambini a cui era stato tolto tutto, ma che nell’incontro con Rose e con Julián Carrón sono rinati fino ad arrivare a chiedere il Battesimo. Come Bledar/Giovanni in carcere. Ad ascoltarli un centinaio di detenuti di cui una ventina invitati dai propri compagni di cella e di lavoro. E alla fine ancora i canti alpini degli amici ugandesi e le canzoni della loro terra.
Gli abbracci, i saluti e poi ognuno ha ripreso la propria strada: chi verso la cella e chi verso l’Uganda. Con un appuntamento per alcuni al Meeting. Ma nulla era come prima. Come testimoniano le lettere che i carcerati hanno scritto. Ne pubblichiamo alcuni stralci.


Nella mia rinascita dopo la sofferenza, che solo oggi mi fa rendere conto, mi trovo pieno di emozioni così grandi che mi fanno scoppiare il cuore.
Non ho il fine pena, ma questo non mi fa sentire in prigione, ero in prigione quando credevo di essere libero. Oggi grazie al buon Dio che mi ha fatto incontrare degli amici veri, grazie al Signore che mi ha donato la rinascita, oggi posso finalmente procedere nell’anno di catecumenato con il mio catechista don Lucio.
Dico queste parole perché vedo con i miei occhi la bellezza di tutti voi fratelli che mi circondate di quel bene vero che ho bisogno. Rose, i suoi ragazzi, gli amici di Padova, ma soprattutto i miei fratelli detenuti mi hanno fatto partecipe di una giornata così bella che mai potevo immaginare prima. Condividere tutte queste emozioni mi fa scoppiare il cuore di gioia, mi fa sentire l’abbraccio di Gesù, quell’abbraccio che Franco mi diceva sempre, ma che io non capivo con le parole, oggi capisco cosa mi volesse dire. Sapere che dall’altra parte del mondo c’è qualcuno che ama Gesù nello stesso modo che lo amo io mi fa stringere il cuore.
La giornata del 16 agosto mi ha fatto capire che senza l’Amore di Gesù Cristo e di Dio Padre noi siamo solo delle ombre nel buio. Abbiamo passato mezza giornata assieme a Rose e ai suoi ragazzi, abbiamo parlato di noi, di loro, ma soprattutto del Signore che ci ama veramente come suoi figli. Momenti così intensi ne ho vissuti pochi. Prima perché ero piccolo, poi perché c’era il disordine civile nel mio Paese, poi perché ero diventato brutto e non vedevo più nulla che mi andasse bene. Mi rendo conto che la mia vita che credevo fosse bella era solo la vita che voleva per me il diavolo. Il Signore mi ha strappato dalle mani del diavolo, ecco perché sono ancora in vita e sono felice anche in prigione. In prigione non si può dire di stare bene, ma neppure lì fuori non potrei stare bene se non stessi bene con me stesso. Ho imparato un mestiere, ho imparato a fare le pizze, i dolci, a lavorare, mentre prima non avevo mai lavorato. Oggi posso dire che con poco si può vivere bene, il Signore mi dà sempre tutto quello che mi serve per vivere bene, se io Lo ascolto e mi faccio guidare da Lui non sbaglio più come prima, continuerò a peccare ma Lui lo sa già, ma il mio impegno sarà sempre di più per non sbagliare.
Bledar Dinja Giovanni in Cristo


Cari amici, la commozione e quel senso di tenerezza verso i miei compagni si è fatto presente proprio in questa giornata che era tanto attesa. Mi ero preparato una scaletta di cose da chiederle e da dire, ma non è servito niente di tutto ciò quando alla presenza degli amici e della Rose ho sentito l’abbraccio di Cristo presente.
Io, Marino e Giovanni Bledar siamo stati invitati da Nicola a presentare Rose ai nostri compagni, accettando ero consapevole di mettermi in gioco, cioè: di prendere una mia posizione.
Non mi avevano mai visto e sentito parlare direttamente. Osservavo i loro occhi notavo la curiosità di conoscere quello che avevano sentito da noi della Rose e i suoi ragazzi, la conferma di due anni, da quando ero tornato dal Meeting del 2008.
La cosa più bella è stato proprio quando ho dovuto fare il mio intervento; mi sono trovato a tu per tu con loro che non vedevo più come dei semplici detenuti curiosi, ma come fratelli che si fidavano delle nostre parole. Mi sono sentito come un bambino di fronte alla mamma che dovevo dire cosa fosse successo per vivere cosi bene. Mi sentivo sprofondare, ma nello stesso tempo pieno di responsabilità, perché loro non si lasciano scappare nulla, ti ascoltano e vedono se c’è il trucco. Io ero come loro e sapendo che mi avrebbero ascoltato in ogni particolare che dicevo temevo di non essere in grado di esprimermi.
Io mi sbagliavo nel pensare tutto ciò, perché una volta che è finito tutto e siamo saliti nel piano ed ero fermo nel pensare e chiedermi cosa avessero capito, come mi avrebbero criticato... Tutti e dico tutti mi hanno avvicinato e con un abbraccio mi hanno ringraziato, chiedendomi che quello che hanno potuto vedere ed ascoltare non sia solo un episodio casuale, che questa conoscenza si possa ripetere con più frequenza. Oggi posso dire che ho la certezza che qui ho una grande famiglia, che il bene che ricevo non era quello che io pensavo, ma molto di più. Che il bene stia vincendo è inevitabilmente evidente.
Oggi credo che quel mistero che mi avvolge e mi coccola sia proprio il bene che Gesù Cristo mi vuole. Non mi cambia nulla stare qui o uscire, anzi proprio oggi discutendo con Marco un mio compagno che di problemi ne ha parecchi, ero quasi preoccupato per lui perché io esco una settimana e mi dispiace lasciarlo solo. Non sono cose che si possono spiegare, ma sono cose che mi fanno stare bene.
È arrivata la svolta in questo carcere, molti chiedono di essere battezzati, chi vuole fare la comunione, chi la cresima. Tutto questo è veramente un Mistero, noi non facciamo nulla per convertirli, ma semplicemente viviamo e dimostriamo come viviamo noi. Che meraviglia tutto questo bene che sembrerà troppo visto il posto.

NB: Tutto il bene è stato inserito nel nostro cuore da Dio quando siamo stati concepiti, basta spolverare i buoni modi per scoprire il manuale dell’uso.
Peccato che chi crede di saperlo fare non sia un buon maestro, ma solo un povero Cristo.
Franco


Lavoro nel reparto di manutenzione elettrica e meccanica sin dal mio arrivo nel 2007. Lunedì scorso sono stato invitato dal sig. Boscoletto a presenziare alla riunione tenutasi nell’auditorium del carcere, per avere diretta conoscenza di alcune persone venute dall’Uganda tra cui “Mama Rose”, come la chiamano tutti e, della grande opera che questa umile donna regge nelle sue mani con coraggio coinvolgente! Da premettere che è la prima volta che partecipo direttamente ad una delle tantissime riunioni che il signor Boscoletto organizza per il bene di molte persone, che durante il loro percorso di vita come il mio, hanno sbagliato rotta e oggi si ritrovano ad affrontare “se stessi” e le conseguenze dei propri errori in stato di privazione della libertà; per essere un giorno uomini migliori e consapevoli del fragilissimo filo che lega il bene e il male in ognuno di noi e nelle nostre decisioni! Mama Rose, è venuta qui, anche per me e ci ha detto come meglio nessuno poteva farlo:
«Abbiate fede in Dio! Credete in voi stessi e nell’immenso valore che c’è in ognuno di voi!». Incredibile! Una piccola donna, che lotta ogni giorno per la sua vita, ma soprattutto per salvare la vita degli altri, è riuscita a darmi una risposta degna di ogni attenzione e considerazione ai tanti "perché" che mi sono sempre posto.
Giovanni Pucci


Oggi c’è stato il secondo incontro con Rose. Questa volta la sorpresa è stata doppia, perché ha portato i ragazzi di Kampala. Quei ragazzi mi hanno letteralmente lasciato senza parole. Quei volti esprimevano felicità, purezza e maturità. Ragazzi che con semplicità hanno raccontato il loro doloroso trascorso e senza rattristarci, benché fosse amaro, perché le loro parole trasudavano di una gioia particolare, unica. Trasmettevano una serenità incredibile che mi hanno fatto subito pensare: «Questi ragazzi hanno capito il vero senso della vita». La Rose ha ribadito il concetto di “valore” che ogni persona ha dentro. E ha fatto proprio bene, soprattutto perché in un luogo di colpe come questo c’è bisogno di un tale insegnamento. Qui si rischia troppo spesso di venire schiacciati dai rimorsi e dal proprio passato. Come dice Rose: il nostro valore di uomini nuovi deve andare oltre, perché noi siamo proprio quel valore e non gli sbagli fatti. Quindi, senza dimenticare mai i nostri errori, perché fanno parte di noi, dobbiamo vivere in verità ogni momento della nostra vita. Sono convinto che questa sia la strada della felicità.
Alberto