Mary Ann Glendon con Benedetto XVI.

Manhattan e l'orizzonte della politica

Mary Ann Glendon, una delle più grandi giuriste americane, docente ad Harvard e già ambasciatrice Usa presso la Santa Sede, apre la kermesse con l'incontro sul tema "Politica come vocazione"
Suzanne Tanzi

Sarà Mary Ann Glendon, docente nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Harvard e già ambasciatrice americana presso la Santa Sede, a tenere l’intervento principale del New York Encounter. Parlerà venerdì alle 19 sul tema “Politica come vocazione”, un argomento fondamentale e attualissimo in un anno caratterizzato dalla prossime elezioni presidenziali, dalla crisi economica, dalla radicalizzazione dei partiti e da molti interrogativi sul piano sociale. Il suo libro più recente, The Forum and the Tower (Oxford University Press, 2011) testimonia la sua lunga passione e la sua competenza sul tema, presentato alla luce di uno dei più recenti assunti della cultura mondiale: il dialogo fra filosofi e politici che percorre la storia. Durante una recente presentazione del libro a Washington, DC, ha risposto ad alcune domande sul lavoro e sulla vita.

Che cosa l’ha spinta a intraprendere uno studio così approfondito, da Platone a Cicerone, Machiavelli, Hobbes, Locke, Rousseau, Burke, Tocqueville…
In primo luogo, desideravo conoscere come questi filosofi avevano posto in relazione le proprie idee con gli eventi del loro tempo, e studiare come le loro idee si fossero modificate nel passaggio dalla teoria alla pratica. Inoltre, mi ha sempre colpito il fatto che molti dei miei studenti, venuti all’Università sperando di entrare in politica, cambiavano idea. Molti filosofi e uomini politici si sono scontrati con le stesse domande che turbano questi giovani – tipo: quando il compromesso politico diventa compromesso morale? È possibile per me fare realmente qualcosa di diverso in politica, o tutti i miei sforzi sono destinati a rimanere vani? E così via. Quando Platone e Cicerone si posero di fronte al fatto che la politica è troppo corrotta, affermarono: Questa è una ragione in più per coinvolgersi, piuttosto che lasciare la sfera pubblica ai deboli e ai malvagi.

È difficile procedere in mezzo a questi rischi, in particolare per un cattolico in America?
Ciò che sta all’origine della nostra patria è un clamoroso esempio di come può essere fruttuoso l’incontro dei politici con la filosofia e la teologia, come appare nel lavoro di Eleanor Roosevelt e Charles Malik nella stesura della bozza della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948, che riflette in modo sorprendente il pensiero sociale cattolico. Uno non sa mai dove porterà il suo lavoro, anche se non ne vede immediati risultati. Per esempio, come avrebbe potuto immaginare Cicerone che la sua opera avrebbe un giorno cambiato la vita di un ragazzo diciannovenne pagano nell’Africa settentrionale? Eppure è ciò che accadde a sant’Agostino di Ippona, il quale affermò che leggendo Cicerone si innamorò della filosofia, e poi «i miei pensieri si sono volti a Te, o Dio!».

Dove possiamo trovare la forza e il coraggio?
Nessuno può negare che la politica implica dei rischi sul piano morale. Per questo motivo molti si domandano preoccupati: Non sarò talmente cambiato dai compromessi che mi saranno richiesti per raggiungere un posto di rilievo da non essere più me stesso a quel punto? Ma se leggete The Pilgrim’s progress (Il pellegrinaggio del cristiano, o Il viaggio del pellegrino, di John Bunyan, ndt), o Pinocchio, vi renderete conto che qualunque viaggio nella vita implica dei rischi morali. Una persona deve capire personalmente se è in grado di stare davanti a quel particolare genere di pressioni che la politica implica. E se anche uno pensa di essere abbastanza forte, credo che debba mantenersi allenato – come un atleta – con la preghiera, la Confessione e il sostegno della famiglia e degli amici.

Non tutti hanno aspirazioni o possibilità così elevate; che cosa direbbe a un semplice funzionario che desideri porsi in maniera diversa?
Gli chiederei di pensare a quanto il Papa Benedetto XVI ha detto incontrando, qualche mese fa, un gruppo di funzionari statali italiani: disse loro che il loro lavoro è così importante per il bene comune da essere «pressoché sacro».

Qual è il suo ricordo più significativo del periodo in cui è stata ambasciatrice presso la Santa Sede?
Quando il Papa Benedetto XVI, nel 2008, venne negli Stati Uniti, ero con il Presidente Bush quando andò alla base aerea di Andrews per incontrarlo. Fu un momento davvero speciale: era la prima volta che un Presidente si recava ad accogliere un capo di Stato straniero e non lo attendeva invece alla Casa Bianca. Quando gli fu chiesta la ragione per cui aveva deciso di seguire questa procedura senza precedenti, il presidente Bush rispose: «Mi muovo io per incontrare il Papa perché è il più grande leader spirituale del mondo».