Palermo, Palazzo dei Normanni, sede della Regione.

La sfida dell'urna per una nuova cultura

L'appuntamento è il 28 ottobre, per rieleggere i vertici della Regione. Tra comizi in piazze vuote e "sbarchi" grillini, la distanza tra politica e popolo sembra davvero incolmabile. Ma una bussola per orientarsi rimane...
Giuseppe Di Fazio

Nei siti dei giornali online ha spopolato nei giorni scorsi un video che riprende uno dei più noti candidati alla presidenza della Regione Siciliana mentre tiene un comizio in una piazza vuota. È l’emblema di una distanza tra il ceto politico e la gente che neppure una campagna elettorale ricca di colpi di scena (come l’arrivo di Beppe Grillo in Sicilia a nuoto attraverso lo Stretto di Messina, o come il passaggio, poco prima della presentazione delle liste, di candidati presidenti da uno schieramento a un altro) è riuscita a colmare. Gli ultimi sondaggi danno al 44% l’indice degli elettori intenzionati a disertare le urne il prossimo 28 ottobre.
I siciliani saranno chiamati a eleggere presidente della Regione e deputati (in Sicilia si chiamano così) regionali ancora una volta in anticipo rispetto alla scadenza naturale della legislatura. Anche stavolta la causa del voto anticipato è legata a motivi giudiziari del presidente della Regione (in questa circostanza il governatore uscente Raffaele Lombardo, leader del Movimento per l’Autonomia, s'è dimesso perché sotto processo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa).
La lista dei candidati-presidente è molto ricca: vanno dal leader dei Forconi Mariano Ferro al fondatore di Rivoluzione siciliana Cateno De Luca, dal grillino Giancarlo Cancelleri alla leader della Fiom Giovanna Marano (candidata di Sel, Verdi, IdV e FdS) all'ex vice ministro Gianfranco Micciché (che dopo la rottura con Berlusconi capeggia una alleanza con l'uscente Lombardo e gli uomini di Fini). Ma la partita, con buona pace degli altri candidati (il cattolico Gaspare Sturzo, il comunista Giacomo Di Leo e Lucia Pinsone dei Volontari per l'Italia), si gioca in un testa a testa fra l'ex sindaco di Gela Rosario Crocetta, che guida una coalizione inedita Pd-Udc, e l'ex presidente della Provincia di Catania Nello Musumeci, esponente della Destra di Storace ma appoggiato da Pdl, Cantiere popolare e Alleanza di Centro.

Il voto siciliano sarà il primo test di rilievo in vista delle Politiche e servirà a verificare il peso dell'astensionismo e quello della protesta (che potrebbe convogliarsi a favore del movimento di Grillo), nonché il gradimento delle nuove alleanze: Pd-Udc, Destra-Pdl, Fli-Autonomisti.
Ma le alchimie della politica lasciano spesso fuori dal dibattito i problemi reali che la gente vive. Da due mesi in Sicilia i pendolari fanno difficoltà a raggiungere i posti di lavoro o la scuola per scioperi a singhiozzo dei servizi di autotrasporto pubblico. L’Isola attraversa, inoltre, un momento gravissimo di crisi occupazionale: la Fiat ha chiuso lo stabilimento di Termini Imerese, la compagnia aerea siciliana Wind Jet s’è fermata e con essa 600 lavoratori, la più grande catena di commercio alimentare (Aligrup) è arrivata al capolinea mettendo a repentaglio il posto di lavoro di 1800 dipendenti. E questi non sono che pochi esempi di una lunga catena, a cui bisogna aggiungere l’indebitamento di 17,65 miliardi di euro degli enti locali siciliani e l’incapacità della Regione di utilizzare i fondi europei per progetti strutturali (la Sicilia rischia di perdere dal 50 al 70% dei contributi già assegnati dall’Ue).
Sarebbe già abbastanza. Eppure c’è un dato oggettivamente più allarmante in un’ottica di ripresa: è quello che riguarda le nuove generazioni. La Sicilia ha il triste primato italiano (26%) dei giovani fra i 15 e 29 anni che non studiano né lavorano.
Come è potuto accadere che una Regione dotata di larga autonomia e di uno Statuto speciale, sia sprofondata a questi livelli?

In un documento appena pubblicato, i Vescovi dell’Isola hanno dato una risposta che coglie il nodo del problema: la radice del modello autonomistico sta nella convinzione che la crescita e le risposte concrete ai bisogni della gente dovessero venire esclusivamente da mamma-Regione. In questo modo, negli anni, si è creato un miscuglio perverso di spesa improduttiva e di scambio clientelare: la politica crea posti di lavoro fittizi, elargisce contributi e favori, i cittadini mettono a disposizione il loro voto.
Questa “cultura politica” ha fatto smarrire agli amministratori la consapevolezza che lo sviluppo è soprattutto un processo di costruzione sociale che cresce dal basso e che partiti e istituzioni possono accompagnare, sostenere, valutare, ma a cui non possono sostituirsi (Scarica il documento della Conferenza Episcopale siciliana).

C’è da chiedersi se nella palude siciliana, alimentata da criminalità organizzata e malcostume politico, ci siano tentativi di risposta dal basso al bisogno comune che siano riconosciuti come tali dall'opinione pubblica. E se vi siano stati nella legislazione regionale timidi tentativi di sostenerli. Insomma, in un contesto in cui nessuno è più disposto a credere alle promesse elettorali si tratta di individuare alcune “buone pratiche” da tutti riconosciute. Ci hanno provato i Vescovi dell’Isola indicando «interventi pubblici che hanno dato buoni risultati proprio perché orientati a valorizzare la vivacità del tessuto sociale ed economico». Il riferimento è al microcredito alle famiglie, al buono scuola, al credito d’imposta per gli investimenti, al Banco alimentare (che nell’Isola raggiunge 300 mila indigenti).
La buona politica valuta l’effetto di queste iniziative e se riscontra risultati positivi le incoraggia e le sostiene. Se, invece, verifica che hanno prodotto effetti perversi smette di sostenerle. La storia recente della Regione siciliana ci dice, invece, che nei tagli necessari alla spesa pubblica finora è stato seguito un ragionamento diverso: è stato salvato ciò che garantisce lo scambio clientelare ed è stato cancellato ciò che ha prodotto effetti positivi sulla società (ma non ha dato ritorno elettorale).
I candidati alla guida della Regione hanno uno strumento semplice per costruire una buona politica, pur nelle restrizioni della crisi nerissima che l’Isola si appresta ad attraversare. Non hanno bisogno di slogan o di programmi faraonici, basta che guardino le buone pratiche, le buone imprese, e le buone idee e decidano di scommettere sul loro potenziamento. Così pure gli elettori hanno una cartina di tornasole per orientare il proprio voto.