XVI Giornata Nazionale della Colletta Alimentare.

Per un abbraccio ricevuto

Una matricola incontrata in ateneo diventa volontaria, un carcerato tira giù gli altri dalla branda perché consegnino la spesa, un povero straccia il volantino e poi dona un sacchetto. Il fil rouge? «Essere grati di partecipare a un amore conosciuto»

INNANZITUTTO UOMINI
La Colletta Alimentare di quest’anno per noi è già diventata memorabile. Non è un problema di numero, di scatoloni o di chilogrammi di cibo raccolto, ma di uomini, uomini veri che si sono messi in gioco e che abbiamo avuto la fortuna di incontrare.
È già qualche anno che, insieme agli amici di Incontro e Presenza, organizziamo la Colletta dentro le carceri milanesi e come sempre, anche quest’anno, ci ha sorpreso per gli incontri inaspettati che abbiamo fatto. Già da stamattina giravano sms tra gli amici che stavano facendo lo stesso gesto anche in altre città, ma c'era qualcuno che già da qualche ora era in movimento. Vincenzo, "ospite" di Bollate, alle sette era già in piedi e andava bussando alle celle degli altri detenuti per farsi consegnare la loro spesa da donare. Mentre stavamo facendo gli scatoloni mi dice: «Vedi, quando ero fuori ho usufruito del pacco del Banco Alimentare e so cosa vuol dire essere aiutato. Stamattina ho tirato giù dalla branda i miei colleghi, perché, anche se loro non l'hanno mai sperimentato come me, i loro familiari o loro stessi un domani potrebbero averne bisogno. Per questo mi sto dando da fare, io sono stato aiutato e desidero che altre persone lo possano essere».
Ma lo spettacolo di umanità lo abbiamo visto anche fuori dalle mura del carcere. Una quindicina di detenuti sono usciti in permesso e hanno scelto di non passare un loro giorno di libertà con le famiglie e gli amici, ma sono voluti venire con noi a fare la Colletta Alimentare fuori dai supermercati, come comuni cittadini.
Chi più di loro sente il bisogno di sentirsi utile, non abbandonato? Chi più di loro sente il bisogno di significato per la difficoltà della vita che sta vivendo? Chi più di loro desidera che il suo stare in carcere assuma un significato tale da far riemergere il senso della vita intera?
Era evidente che volevano dimostrare un'umanità viva, nonostante l'errore commesso e nonostante il carcere sia un luogo di privazione della libertà, questo non impedisce loro di essere uomini, perché il cuore dell'uomo nella sua domanda di bene è uguale per tutti. Nella "società civile" spesso ci muoviamo per avere la coscienza a posto, loro invece oggi si sono mossi per rispondere ad un bisogno.
Erano semplicemente felici di essere insieme a noi a fare un gesto di carità, un dono di sé commosso per il bene dell'altro, addirittura contagioso. La loro certezza ha spinto le persone che andavano a trovarli a mettere la pettorina gialla e fare il turno con loro.
Oggi siamo andati a fondo sulle ragioni per cui vale la pena vivere in un altro modo, diventando così una proposta reale, una proposta di vita diversa per i detenuti, ma soprattutto per noi.
Fabio, Milano

UNA COMPAGNIA INASPETTATA
Quest’anno non ho fatto la Colletta a Milano, come faccio tutti gli anni. Nella mia città mancavano volontari e capi equipe, così ho deciso di tornare a casa.
Venerdì mi chiamano per chiedermi di gestire un piccolo supermercato assieme ad un gruppo di alpini. Accetto volentieri e la sera chiedo alla mia famiglia se qualcuno può venire a darmi una mano. Il bambino che abbiamo in affido da ormai otto anni accetta. Sabato mattina ci accompagna mio papà. Dal momento che gli alpini sarebbero arrivati un'ora dopo l'apertura del supermercato, mio padre si ferma a darmi una mano a preparare tutte le cose necessarie. Dalle locandine da appendere all’entrata, al tavolino dove appoggiarsi per segnare il peso delle scatole. Fino alle etichette da applicare agli scatoloni. Già contenta del miracolo della sua disponibilità, inizio la giornata. Voglio dare a tutti la possibilità di partecipare. Non devo farmi scappare nessuno. Il supermercato è un piccolo discount frequentato soprattutto da extracomunitari. Ma la cosa non mi scoraggia. Mi avvicino a tutti. E loro, stupiti che qualcuno li accolga con il sorriso, mi ascoltano. Spesso devo spiegarmi a gesti, ma riesco a farmi capire, e alla fine tutti tornano da me con il sacchetto in mano. Tutti, dico davvero tutti, hanno donato. E questo mi stupisce, ad ogni sacchetto, sempre di più.
Nel pomeriggio mi imbatto in un signore di mezza età, anche lui extracomunitario, molto povero, si vedeva dai vestiti. Gli spiego della Colletta. Inizia a replicare che dovrebbe essere lui quello da aiutare e mi accartoccia il foglietto davanti agli occhi in segno di stizza, e lo lancia via. Allora continuo: «Mi dispiace, non conosco la sua situazione, mi preme troppo dire a tutti di questo gesto. Ma se lei non può farlo non importa». Dopo avermi ascoltato entra nel supermercato. Esce con il sacchetto pieno di pasta, tonno, biscotti per noi. Io ringrazio con la voce commossa, ma quando lo guardo vedo che è lui il più commosso, ha le lacrime agli occhi: «Grazie a voi, è troppo bello e importante quello che fate. Grazie». Poco dopo entra un altro signore, stavolta italiano. Inizio a spiegare, ma mi interrompe subito: «Non mi interessa». Ma io non mollo. E lui ancora mi urla: «Non mi interessa». Ed entra nel supermercato. Dopo cinque minuti torna indietro: «Mi scusi, non volevo trattarla male. È una giornata storta, tutto va male, sono triste. Ma questa cosa della Colletta è bella». Quando esce dal supermercato vedo che non ha nulla in mano. Aveva donato tutto a noi.
La giornata è proseguita con piccoli fatti di questo tipo. Ogni cosa mi colpiva: dalle persone che donavano, agli alpini che erano con me, alla passione che il ragazzino metteva nel pesare e chiudere gli scatoloni. Fino alla generosità della responsabile del supermercato che ci offriva i caffè e che alla fine ha fatto la spesa per la colletta insieme alle commesse. Mi sono accorta che non era merito mio se le persone si comportavano così. Io ho solo detto sì a Lui, facendo questo gesto della Colletta. E Lui, durante tutta la giornata, si è messo a farmi compagnia attraverso i volti di tutti quelli che ho incontrato.
Lettera firmata, Verona

TUTTO IL CARCERE INSIEME IN UN GESTO
Della Colletta al Centro clinico di San Vittore a Milano mi hanno colpito due cose. La prima è che, appena siamo entrati nel raggio del carcere, uno dei lavoranti ci ha visto ed è corso in cella. È andato a prendere la roba che aveva preparato, portandocela in fretta. Poi è tornato dentro e ha preso altre cose. Mi sono subito commossa: trasmetteva tutta la sua felicità per poter essere utile, per poter donare qualcosa. Dimostrare che c'è ancora qualcosa di buono, anche in una condizione tremenda come quella del carcere sovraffollato. La seconda cosa riguarda un carcerato che ha detto di non avere nulla da dare perché le cose ordinate non erano arrivate. Immediatamente ho pensato che fosse la stessa scusa delle persone che al supermercato ti dicono che hanno già fatto la Colletta con la spesa del mattino. Invece è corso in cella. Ha cominciato a rovistare sotto il letto, nell'armadietto, come se cercasse qualcosa di nascosto, di prezioso, e alla fine ha tirato fuori due bottiglie di olio, della pasta e del riso. Chissà per quale grande occasione li aveva conservati. Ero veramente commossa, anche perché tutti (guardie, educatrici e personale) hanno collaborato, come se finalmente non ci fossero più barriere, ma fossimo tutti grati di poter partecipare a un amore conosciuto.
Anna, Milano

RISVEGLIATA ANCHE DALLA COLLETTA
Anche quest’anno ho partecipato alla Colletta Alimentare come ormai da un po' di anni. Il mio turno alla mattina prevedeva di andare al supermercato per invitare la gente a partecipare al gesto. Insieme a noi c'erano anche dei carcerati ad aiutarci. Ho cominciato un dialogo con uno di loro, che non mi sarei mai aspettata. Gli chiedo chi era e da dove veniva. Lui ha cominciato a parlare di sé e di quando è finito in carcere. Mi ha detto: «Sai mi sono sempre mosso per stare bene, il problema è che l'ho fatto in modi sbagliati», poi mi ha raccontato com'è il carcere. Del fatto che in carcere non sei aiutato, e che il cambiamento per lui c'è stato solo nel momento in cui il giudice gli ha concesso di entrare in una casa famiglia, dove tuttora vive e lavora. «Lì ti insegnano a vivere, a lavorare onestamente e soprattutto trovi gente che ti vuole bene senza neanche conoscerti e che ti guarda nonostante tutto lo schifo che sei e che hai fatto. Se avessi una famiglia non accoglierei in casa i peggio criminali che ci sono. Fargli da mangiare, lavargli i vestiti, dargli un letto...». A quel punto gli ho chiesto se si era mai domandato perché quelle persone erano così con lui e riuscivano a guardarlo in quel modo. Non era ancora riuscito a darsi una risposta. Quando mi ha raccontato questo non ho potuto non parlargli della mia esperienza alla Casa Rossa, perché anche se non ho avuto un trascorso come il suo, anch'io mi sono imbattuta in qualcuno che mi ha voluto bene gratuitamente per quella che sono e mi sono fatta la domanda: «Perché quest'uomo mi guarda così?». Davanti alla risposta: «Io sono così perché seguo Cristo», ho dovuto farci i conti. All'inizio mi sembrava strana, ma poi seguendo questa persona sono riuscita a guardare e ho riconosciuto che dietro a quel volto umano c’era davvero la presenza di Dio. E allora tutto è cambiato, io sono cambiata. Quindi gli ho detto di essere serio con la domanda che gli avevo fatto, perché dalla risposta sarebbe dipesa non solo la sua vita fuori, da uomo libero, ma la sua vita attuale. Davanti a queste parole è stato in silenzio.
Mi ha colpito molto il dialogo con quella persona perché non mi sarei mai aspettata di riuscire ad arrivare ad un livello così profondo con lui, e tanto meno mi sarei aspettata che lui mi parlasse di sé.
Cristo è riuscito a stupirmi ancora. È stato un richiamo forte al senso del gesto, perché mi ha fatto fare i conti per l’ennesima volta con ciò che ho incontrato, che mi ha cambiato la vita e che mi spinge a partecipare a gesti come la Colletta Alimentare per essere risvegliata da Lui, per capire sempre di più di cosa ho bisogno, e che io sono come quell'uomo. Ho bisogno di qualcuno che mi vuole bene per quella che sono, con la differenza che io ho riconosciuto Cristo che mi è venuto incontro.
Chiara, Carrara

SIAMO FATTI DELLA STESSA PASTA
Ieri sera sono andato all’ospedale a trovare mio cugino. Un mese e mezzo fa è stato ricoverato per un incidente in moto in cui ha rischiato di perdere il piede destro. Mentre ero lì, una signora che è passata a salutarlo gli ha detto: «Non preoccuparti del piede, dovresti essere felice che sei vivo per miracolo». Questa frase mi ha "punzecchiato", perché ho pensato che questa cosa è vera sempre, io "sono vivo per miracolo" ogni istante. Ogni istante è un miracolo perché qualcun Altro mi fa.
Mi rendo conto che, questa coscienza che mi scopro adosso, per nulla scontata di fronte alla vita, nasce e cerca di crescere nell'incontro e nel rapporto con la nostra compagnia di amici, incarnazione di Cristo.
Per questo sistemare i pacchi il mercoledì sera, partecipare alla Colletta e servire due famiglie tramite il Banco è uno strumento molto utile per ridestare questa coscienza di me. Portare il pacco due volte al mese è diventato non solo un appuntamento con le famiglie, ma soprattutto un appuntamento con me stesso. Quando si carica il pacco in macchina, a volte dopo una giornata di lavoro, mi capita di pensare: «Dai andiamo, in mezz'ora portiamo il pacco e torniamo». Come se fosse la consegna del pacco il problema. Il problema, invece, è stare davanti alla presenza di queste persone. Per fortuna non sono solo, i volti di chi ho accanto e l'Angelus fanno riemergere la questione del gesto. È per un abbraccio ricevuto che posso andare da loro, altrimenti mollerei.
Dopo tanto tempo che porto il pacco, una cosa che mi colpisce sempre è l'accoglienza che ci riservano le famiglie. Come è successo con il dolce dalla Maria, preoccupata perché esteticamente non era perfetto.
Ho capito che non lo prepara per sdebitarsi del pacco, ma per ringraziarci dell'amicizia che è nata in questi anni. Anche io ringrazio di questo, perchè nel rapporto con loro, dalle nostre chiacchierate, emerge sempre il fatto che, sia io che loro, siamo fatti della stessa pasta. Abbiamo entrambi la preoccupazione di trovare qualcuno che soddisfi i nostri bisogni reali, che ci faccia riconoscere la vita come positiva anche dentro le difficoltà. Portare il pacco mi richiama a questo: chi sono e come rispondere ai desideri del mio cuore. Allora mi scopro grato per il fatto di aver incontrato la Casa Rossa e del cammino che stiamo facendo.
Questa coscienza, soprattutto dopo la Colletta, sta venendo fuori sul lavoro, in cui mi sto scoprendo più libero dall'esito e dal giudizio dei colleghi. Sto iniziando a vedere le circostanze non solo come una possibile crescita lavorativa, ma come occasione per affermare me tutto intero, senza censurare la mia esperienza. Libero di affermare che sabato ero a fare la Colletta e il motivo per cui ero lì.
Andrea, Carrara