La politica a Spaccanapoli

Un giornalista invitato a parlare del voto, tra le suore di Carità dell'Assunzione e la gente del quartiere. Il macellaio, la mamma, l'insegnante… Tutti scoraggiati. Ma il clima ad un tratto cambia: «La loro stessa vita testimonia le ragioni dell'impegno»
Ubaldo Casotto

Vico Paparelle parte da Spaccanapoli e finisce dopo duecento metri. A metà del vicolo c'è il convento delle suore di Carità dell'Assunzione dove ha sede anche il doposcuola che accoglie ogni giorno 60 ragazzini. Alla fine del vicolo c'è Casa Luisa, un alloggio ristrutturato che fa accoglienza diurna per 15 minori dai 6 ai 16 anni. "Suorine", poi, vuol dire l'assistenza domiciliare alle famiglie e la presenza pubblica in quartiere, insieme agli amici della fraternità e dell'associazione San Camillo, che ha nel Presepe vivente e nella festa di fine anno scolastico i suoi momenti culminanti.
«Vorremmo lavorare insieme con la gente sulle elezioni, la Nota di Cl, il documento della Compagnia delle Opere, sentire le loro obiezioni... Ci dai una mano?». La telefonata di Pina, la superiora, è all'amico, non certo all'esperto (ché tale non sono). Ed è di quelle cui non si può dire di no - d'altronde, «a che vale la vita se non per essere data?» - e poi da questi incontri c'è sempre da imparare: «Posso solo di domenica». «Va bene».

Parto da Roma dopo pranzo. Alle cinque di una domenica pomeriggio, in vico Paparelle mi trovo davanti 50 persone, gente del movimento, il macellaio, l'impiegato all'acquedotto, una cara amica che vive nei bassi e fa i salti mortali per le scuole dei figli, il professore di scuola statale e quello della paritaria, la signora arrabbiata per lo stipendio dei parlamentari, quello che sa tutto sull'Imu, l'insegnante che vuole capire il ruolo dell'Europa. Ma quello che colpisce è il clima di saturazione per la politica, la disaffezione, la tentazione dell'astensione. D'altronde a Napoli il voto di protesta l'hanno già sperimentato con successo, hanno eletto De Magistris sindaco e a distanza di un anno e mezzo non sembrano entusiasti.

Inizio dalla Nota di Cl, dal primo punto, dalla comunità cristiana che per la sua stessa esistenza, se è viva, ha incidenza politica, perché implica uno spazio e delle possibilità espressive. E mentre li guardo, capisco la carità che è il giudizio della Nota. Nell'esperienza della costruzione della comunità cristiana in quel quartiere, di cui loro sono già protagonisti, trovano le ragioni per l'impegno politico e per il voto. Ha ragione Carrón: il problema è dell'autocoscienza, della coscienza di quello che siamo e di quello che ci succede. Non faccio altro, allora, che raccontare loro quello che loro stessi mi testimoniano e testimoniano in quartiere, e come questi implichi di per sé rapporti con l'ente pubblico, con i servizi sociali, con la questione dell'Imu per il non profit, con l'importanza della libertà di educazione. Ogni obiezione torna lì: facciamo un'esperienza di comunità cristiana viva.
Mano mano che si susseguono gli interventi, cambiano il tono e il clima, emerge la gratitudine per quello che si vive, e il crescere della consapevolezza spazza via lo scoraggiamento. Si rimette in moto la voglia di stare insieme e di aiutarsi nel lavoro e nei giudizi.
Non cambiano idea sulla qualità della nostra classe politica in generale (né questo era lo scopo dell'incontro) ma vanno oltre l'indignazione, e vedono la possibilità di un'esperienza di bene comune, simile a quella di cui sono testimoni, anche nella politica.

Le domande, soprattutto sulla scuola, incalzano. «Perché la scuola privata fa pagare alle famiglie l'insegnante di sostegno? Nella scuola pubblica è un diritto». Mi soccorre mia moglie, che spiega innanzitutto che la statale e la paritaria sono entrambe "scuole pubbliche" e poi che «il presunto mancato servizio è in realtà una discriminazione», e infine racconta l'esperienza di un suo alunno, «il rapporto con la famiglia, i sacrifici economici che hanno accettato» e di come la scuola ha cercato di andargli incontro, dei progressi sino alla scelta di rinunciare al sostegno: «Io una realtà così, una possibilità educativa come questa, la difendo e cerco chi la difende insieme a me».
La titolare di una piccola impresa chiede lumi sul fisco, ma non è esasperata, semmai preoccupata e vogliosa di poter continuare con la sua attività: «Il lavoro da dipendente è un miraggio, uno se lo costruisce ma veramente il peso delle tasse è troppo, la tentazione del nero è quotidiana. Io non voglio cedere ma che cosa si fa per noi piccoli?». Gli spiego lo statuto delle imprese, la novità dell'Iva per cassa (paghi quando incassi e non quando emetti fattura), la proposta che c'è nel quartino della CdO sulla facilitazione del credito.
Si chiude l'incontro e non vanno più via, si formano capannelli, si continua a parlare con pacatezza; c'è il professore che ha un grosso guaio a scuola con alcuni colleghi, gli stessi che lo attaccano ideologicamente ma poi gli chiedono una mano per gli alunni più difficili, e magari li mandano al doposcuola delle Suorine, «che faccio?», e non c'è risposta automatica, si ragiona sulla libertà dell'insegnante, limite che non può essere superato (non negoziabile), e sulla responsabilità educativa che deve restare obiettivo comune…

Torno a Roma a mezzanotte passata. Tre giorni dopo mi richiama Pina: «Il macellaio era molto contento, ma anche gli altri. Uno mi ha detto: "Non è che ho cambiato idea su certi politici, ma quell'incontro ha riacceso in me la speranza"».