«In quelle dieci righe ci ho messo il cuore»

Pedro, Ezechiel e Francisco. Tre studenti e una passione comune, la politica. Ecco un'altra testimonanza che racconta cosa può nascere quando si «parte dalla realtà, fino al dettaglio» aiutandosi a «tenere sempre presente l'ideale: Cristo»
Alessandra Stoppa

Pedro, Ezechiel e Francisco sono tre studenti universitari argentini, tre amici, con la comune passione per la politica. E iscritti a tre partiti diversi, antagonisti. Uno di ispirazione peronista, l’altro socialista, il terzo liberale. «Ci sentiamo ogni settimana», racconta Pedro, che studia Filosofia all’Università di Santa Fe. Vivono lontani, Ezechiel a Buenos Aires e Francisco a Cordoba. «Ci parliamo via skype, per aiutarci a vivere l’impegno con la politica. So che da solo non sarebbe così». Così come? «Oggi, qui in Argentina, se fai politica vieni guardato subito con sospetto, perché la corruzione è diffusa. Noi ci aiutiamo a essere consapevoli del perché lo facciamo, di che cosa cerchiamo», continua Pedro: «Siamo in partiti con posizioni diverse, con problemi diversi, ma l’aiuto che ci diamo è di tenere sempre presente l’ideale. Cristo».

È stata l’esperienza cristiana a cambiare Pedro di fronte alla politica. Anzi, a fargliela scoprire davvero. Non appena maggiorenne, ha iniziato a votare quello che votava suo padre. «Non sapendo nulla di politica, ogni volta mi fidavo di lui. Mi sembrava la cosa più ragionevole». Ma tutto cambia nel 2011: «Davanti alle elezioni presidenziali di quell’anno, quel criterio non mi bastava più. Volevo capire meglio, entrare nei problemi, scegliere. Avevo incontrato Cristo. E mi chiedevo che cosa c’entrasse con la scelta del candidato. Mi dicevo: se non ha niente da dirmi a riguardo, o non mi interessa Cristo, o non mi interessa la politica». Così ha iniziato a chiedere aiuto ai suoi amici in università, ma in loro non trovava il desiderio di confrontarsi con questi temi. «Allora sono andato da mio padre, per chiedere aiuto a lui e ad altri adulti. Ma loro mi hanno detto: “Scoprilo con i tuoi amici”». Per un anno non ha dato tregua ai compagni, aiutato dal clima infuocato del periodo elettorale, in cui tutti, ovunque, parlavano di politica. Era carico di entusiasmo. Salvo poi, però, piombare nello scetticismo davanti ai risultati: «Cristina Kirchner aveva vinto con il 54% per cento dei voti. Ed io avevo dato il mio per contrastarla. Era stato inutile. A quel punto, ho smesso di parlare di politica. Per mesi».

Qualche tempo dopo, in università, stringe amicizia con uno dei rappresentanti studenteschi, iscritto al partito “100% santafesino”. Con lui ha iniziato ad impegnarsi attivamente. «Stare nel partito mi sfida molto, di continuo. Ci sono tante proposte e, il più delle volte, non è immediato e facile capire cosa è bene, cosa è giusto, se intervenire o meno, cosa fare... Ma questo, innanzitutto, mi dice qualcosa di molto chiaro: io “non so”, io ho bisogno. Tanto la politica mi interessa, tanto mi scopro inadeguato. La prima cosa, quindi, è che ho da imparare». Ripensa a quando Ezechiel doveva decidere, per vari problemi, se rimanere o meno nel suo partito, il Frente Amplio Progressista. «Ci siamo accompagnati. Abbiamo riscoperto insieme che non vale la pena portare avanti il nostro impegno solo se tutto è come vogliamo. Desideriamo che ci sia lo spazio, anche solo di un centimetro, per quello che abbiamo a cuore noi, per la nostra proposta». E qual è? «Che gli altri incontrino un poco dello sguardo che ha incontrato noi».

Ma che cosa significa questo, dentro al partito? Pedro racconta che tutti i giorni accadono fatti che mettono alla prova il criterio ideale. «Ma se parto dalla realtà, fino dal dettaglio, io posso sperimentare sempre l’ideale. Se io saltassi quello che c’è, non potrei verificare come la fede faccia vivere la politica in modo più vero». La prima proposta del partito con cui ha avuto a che fare è stata andare nei quartieri poveri a dipingere i muri. «Io non ero d’accordo: dicevo ma come, ci sono tantissime altre cose utili da fare, più urgenti. Però il progetto è andato avanti e a me è stata data una responsabilità precisa: spiegare in dieci righe sul sito del partito quello che avremmo fatto. Ecco, a me erano date quelle righe. Dieci righe! Ci ho messo il cuore. Ho raccontato perché la bellezza è necessaria all’uomo, ciò che ho imparato da don Giussani. E solo facendolo, ho visto anche il valore di quella proposta. Gli altri erano stupiti, perché avevo delle ragioni più profonde per quello che avevano voluto loro. Ed io anche, perché non solo sto imparando che non c’è progetto politico, né candidato che possa corrispondere al mio desiderio, come a quello di nessun argentino, ma sto anche scoprendo che nemmeno io sono la felicità per me. A farmi felici non sono le cose come le vorrei, non è quel che riesco a fare o che reputo giusto».

Ora Pedro, Ezechiel e Francisco stanno lavorando per preparare il primo appuntamento della Winter School in Argentina, la scuola di formazione politica che hanno conosciuto in Italia. A maggio, per un paio di giorni, inviteranno politici ed esperti per confrontarsi con una domanda: qual è la politica che serve di più il desiderio dell’uomo, il mio desiderio? «Se vogliamo fare politica, dobbiamo innanzitutto metterci a imparare. Perché io non ho insegnato a me stesso nulla. Il desiderio stesso di servire il bene di tutti non è scontato. Quello che è “normale” è fare le cose per un proprio interesse, lo vedo di continuo intorno a me. Ma, allora, che cos’è questo desiderio di bene che abbiamo, che ho? Non mi accorgerei nemmeno di averlo, se non fosse per l’educazione che ricevo. E non potrei viverlo».