«Scuole paritarie? L'apertura è un valore»

Il 26 maggio si vota sui contributi pubblici alle scuole non comunali. Un quesito mal posto e tanta ideologia. Ma secondo Roberto Gontero, presidente di Agesc, anche questa è un'occasione per ribadire il bisogno di essere liberi di educare
Elena Fabrizi

«Bologna è una strana signora, volgare matrona / Bologna ombelico di tutto...». Così Francesco Guccini cantava negli anni Ottanta. Oggi la «vecchia signora» è al centro di un dibattito che la riporta ad essere quantomeno “ombelico d’Italia”. Stiamo parlando della battaglia culturale che ruota intorno al referendum consultivo, ottenuto dai grillini e da Sel, sui finanziamenti alle scuole dell’infanzia. Si voterà il 26 maggio. Il quesito, dalla formulazione a dire il vero un po’ zoppicante, recita così: «Quale, fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali, che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole d’infanzia paritarie a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia? a) utilizzarle per le scuole comunali e statali b) utilizzarle per le scuole paritarie private».

Il Comitato bolognese Scuola e Costituzione, tra i promotori del referendum, da tempo si sta impegnando per promuovere l’idea che i finanziamenti pubblici devono essere destinati solo a iniziative statali. Roberto Gontero, presidente dell’Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche), parla di «situazione che scandalizza e sconcerta in primo luogo le famiglie. I referendisti muovono battaglia per ragioni puramente ideologiche. Strumentalizzano il servizio pubblico, invece che far vedere il dato reale». L’obiettivo, dice Gontero, è smontare il sistema scolastico della città che dal 1994 prevede per le scuole dell’infanzia un sistema “pubblico” integrato (che coinvolge Stato, Comune ed enti non profit) con contributi anche per le scuole paritarie.

Nonostante la curiosa formulazione del quesito - nella quale sembra essere già suggerita la risposta -, è interessante notare come i dati dicano altro. Numeri alla mano, a Bologna un bambino che frequenta la scuola pubblica del Comune costa all’amministrazione 6.900 euro all’anno, mentre quello della scuola pubblica paritaria 600. «Lo scopo di questo referendum è destabilizzare un sistema che mostra come un principio sussidiario applicato alla scuola sia vincente. C’è un portato ideologico e sindacale che vorrebbe coprire l’inefficienza del sistema pubblico. Ma non è abbattendo il sistema paritario che si migliorerà quello statale», aggiunge Gontero. Se si sottraessero i fondi alle paritarie e si destinassero alle comunali, infatti, il Comune riuscirebbe ad accogliere appena 150 dei 1.736 bambini, che godono oggi del servizio delle paritarie. Quale soluzione è più idonea per assicurare il diritto all’istruzione?

Impegnato in questa campagna c’è anche Stefano Zamagni, economista promotore del Manifesto Referendum Bologna. Il documento in dieci punti, oltre che fare chiarezza, ha già raccolto più di seimila adesioni di diverso colore ed estrazione politica.
Sempre il presidente di Agesc sottolinea la decisività del dibattito in corso come «una grande occasione per ribadire i contenuti dell’identità di una scuola paritaria. Un luogo dove possa esprimersi nelle sue potenzialità la libertà di educazione, basata su un ideale di apertura, di capacità critica, di orizzonte ampio. Vogliamo per questo girare le scuole e i comuni per ridire ai ragazzi e alle famiglie che l’apertura è un valore». E tra i vari appuntamenti organizzati, Roberto Gontero parteciperà il 7 maggio, presso il cinema Galliera di via Matteotti di Bologna, a uno degli incontri del ciclo di appuntamenti Il 26 maggio al Referendum per la scuola d’infanzia vota B. Per gridare dai tetti della “ricca signora”: «Che pubblico non significa statale, e che libertà non è sinonimo di irresponsabilità».