Parigi, manifestazione del 26 maggio.

«Caro Hollande, la nostra umanità non si fabbrica»

Sono scesi in piazza per la quarta volta. Monaci, mamme con carrozzine e giovani "veilleurs". Manifestazioni pacifiche. Eppure, in tanti casi represse dalla polizia. Ma cosa infiamma davvero la Francia contro la legge sulle nozze gay?
Silvio Guerra

Ancora in piazza, per la quarta volta. Ancora centinaia di migliaia di persone, nel solito tira molla dei numeri. Un milione per gli organizzatori, molti meno per la polizia. Parigi con domenica 26 maggio non smette di essere il palcoscenico della protesta contro la legge che autorizza il matrimonio e l’adozione per le coppie omosessuali. Di fronte a passeggini, mamme, religiosi e giovani “armati” di cartelli e slogan, ancora una volta, un imponente schieramento di forze dell’ordine. La prima volta era stata il 24 marzo. E lì erano partiti i primi arresti: era stata una manifestazione pacifica, ma alcuni avevano avuto la colpa di sbagliare il percorso. Il 15 aprile ancora arresti, 67, per disturbo della quiete pubblica. Il Governo, il 22 aprile, giorno di approvazione della legge, schiera davanti all’Eliseo 1.200 poliziotti a fronteggiare un “pericoloso” esercito di famiglie armate di bimbi e passeggini.

Quella stessa sera nascono i veilleurs, i veglianti. Gruppi spontanei di giovani che si ritrovano in vari punti di Parigi e in altre città della Francia, per protestare pacificamente leggendo testi di vari autori. E anche qui, minacce continue di arresto, per manifestazione non autorizzate e occupazioni del suolo pubblico. Ma i giovani non si fermano. E tutte le sere si ritrovano nelle piazze. Un clima che si fa incandescente alla vigilia del 26 maggio, dove chi detiene le “redini” del potere sembra letteralmente impazzire. Le minacce ai veilleurs, l’invito alle mamme a non portare i bimbi in piazza domenica da parte del Ministro dell’Interno, Manuel Valls, e l’arresto di 50 ragazzi fermati con la maglietta della manifestazione.

Questa lunga litania non toglie nessuna certezza; mostra la cecità del potere che non toglie più solo gli zeri alle cifre dei partecipanti delle manifestazioni. Non elimina più solo simbolicamente chi protesta, ma passa a una fase ulteriore: ti spazza via fisicamente. Il clima di violenza che le forze dell’ordine denunciano è paradossalmente voluto e quindi creato per spaccare l’onda d’urto popolare contro una legge inutile e quindi ingiusta.

Il paese delle libertà e dei diritti dell’uomo sta diventando un nuovo gulag del ventunesimo secolo. I paletti “sono conficcati nel terreno”. A quando il filo spinato? Come scriveva Saint Exupéry: «Ci hanno tagliato le gambe e le braccia e ci hanno lasciati liberi di correre».

Eppure domenica siamo in piazza. Forse un milione. Abbiamo risposto alla provocazione della manifestazione con lo stesso desiderio della moltitudine di persone e di vite che ci sfilano davanti: famiglie, giovani, nonni, persone anziane che tengono ad esserci e a dire, fino all’ultimo fiato, che non vogliono questa legge.

Tantissimi religiosi. Suore, preti... Perfino diciassette monaci benedettini partiti dall’estrema punta della Bretagna. Il padre abate ha autorizzato metà della comunità «a portare solidarietà alle famiglie». Una minuta suora protestante, dietro gli occhiali scuri, brandisce due bandiere e uno stendardo: «Siamo nati tutti da un uomo e una donna». Perché è qui, madre? «Perchè il matrimonio è un valore proprio dell’umano». Basta questo per sentire il cuore colmo e spazzare via l’amarezza dei giorni precedenti.
Passa una persona molto anziana, in carrozzina, spinta dal nipote. Non scandiscono slogan: recitano il rosario. Che richiamo potente è il loro gesto impercettibile. Il rosario in una mano, di fronte alla violenza assurda e fredda di chi governa. Ma capisci ancora di più che la preghiera non è un rifugio, ma è proprio un indicare una Presenza che salva. Non siamo soli. C’è Qualcuno a cui rivolgersi. Per questo, con un gruppo di amici, decidiamo di cominciare questa marcia recitando l’Angelus. Coscienti che ciò che poteva cambiarci non era tanto quanto potevamo fare o quanti eravamo a manifestare, ma che tutto è occasione di memoria e mendicanza. Così ti puoi stupire di fronte alla “vita” e alla “creatività” di questa gente. Niente insulti contro gli omosessuali né scritte omofobe, come racconteranno i media. Una signora, nonna, vestita di tutto punto, impugna un cartello: «Non voglio il gender». Di cosa è fatta questa umanità che sfila e sfida tutti i pronostici. È solo testardaggine?

Gli assalti mediatici, infatti, non danno tregua sull’ “assurdità” di queste manifestazioni. «Perchè continuate?»; «Cosa vi importa di opporvi ai diritti degli altri?». Provare a rispondere apre un abisso. C’è scritto, su un cartello, «Un figlio è un dono, non un diritto». La legge afferma il contrario. E questo genera uno scandalo nelle coscienze di tanti. Il cardinale Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, ha dichiarato nelle scorse settimane: «Non è che perché la legge è stata approvata dal Parlamento allora la legge è giusta».
Due signore con il chador sventolano un cartello: «Hollande, dov’è il progresso della legge?». Poco più lontano, sfila un folto gruppo di musulmani in gaballà, con tanto di mogli velate: «Perché siamo qua? Per le vostre stesse ragioni». Nagib ci dice: «Ho votato Hollande, ma mi sento tradito. Sono partito da Rennes con un gruppo di persone, a piedi. Ho camminato per venti giorni, 450 chilometri, per essere qui oggi. Abbiamo incontrato tanta gente lungo il cammino, a cui abbiamo spiegato le ragioni del nostro gesto e perché siamo contrari a questa legge che distrugge le nostre coscienze».

Dove si può incontrare tutti i giorni un’umanità cosi, gente che si mette in gioco in questo modo?
Alla fine della manifestazione siamo accolti sul piazzale degli Invalides dalle parole di Axel, il giovane iniziatore dei veilleurs: «La nostra umanità non è un prodotto che si fabbrica; non vogliamo esserne privati. Siamo qui perché vogliamo gridare con il nostro cuore e con la nostra intelligenza il risveglio delle nostre coscienze, del popolo di Francia. Partiamo da un “no”, ma sappiamo bene che una città non si costruisce solo con i “no”. Noi vogliamo seminare nelle piazze pubbliche una cultura che costruisca il nostro cuore e il nostro spirito».

Siamo qui per questo. Se tutto quello che viviamo fosse una costruzione politica, siamo certi che queste persone non sarebbero qui, non le avremmo né viste né incontrate. La legge non cambierà. Rimarrà, quasi certamente. Ma noi abbiamo la certezza di non aver perso il nostro tempo. Ripartiamo con il desiderio di vivere domani, nel nostro lavoro e nelle circostanze che il Mistero ci darà questi sprazzi di umanità nuova.