Una manifestazione <em>pro-choice</em> in Irlanda.

Pro-choice, pro-life e il rischio di una «fede privata»

Il primo sì all'aborto in un Paese noto per le sue radici cattoliche. Dall'inchiesta sulla morte di Savita ad un abuso della ragione: queste le "armi" dei favorevoli. Ma anche il partito contrario ha fatto dei passi falsi
John Waters

In questi nove mesi, l’Irlanda è rimasta paralizzata da una polemica incessante sulle conseguenze di questa calamità per le nostre leggi contro l’aborto. Ben presto il dibattito si è esteso al tema dell’ideazione suicida come base giuridica per l’aborto, benché l’ideazione suicida non rappresentasse assolutamente un fattore rilevante nel caso Halappanavar; e benché si tratti di un fattore meramente teorico nel contesto generale. L’inchiesta sulla morte di Savita ha evidenziato molti errori procedurali, oltre a una certa confusione sulla corretta interpretazione del testo di legge, che garantisce pari tutela a madre e figlio fino al momento in cui è in pericolo la vita della madre. L’inchiesta ha appurato che le cure ricevute da Savita erano gravemente insufficienti, ma ha anche concluso che non c’è mai stato un momento in cui un’interruzione di gravidanza praticata secondo i termini di legge avrebbe potuto salvarle la vita. La frase «questo è un Paese cattolico», si è poi scoperto, è stata pronunciata da un’ostetrica non direttamente coinvolta nella situazione, e solo in riferimento ai precedenti giuridici.

Il dibattito sull’aborto in Irlanda è da tempo orientato su posizioni assolutiste. Da un lato, la lobby pro-choice cerca di usare casi estremi come l’Halappanaver e il caso «X» per condurre la sua campagna in favore dell’aborto; dall’altro, la questione ha rappresentato un’istanza unificatrice per quei cattolici che la vedevano come un mezzo per esprimere la lealtà verso la propria fede. L’Irlanda è probabilmente uno dei Paesi più sicuri al mondo in cui una donna possa restare incinta e partorire. Rimane sì, in un certo senso, «un Paese cattolico», ma all’atto pratico questo non ha mai significato che i medici abbiano assistito senza intervenire alla morte di una donna. La teologia cattolica consente di intervenire per praticare un aborto quando la vita della madre è in pericolo, anche se il battito fetale non si è interrotto. In linea di massima è ciò che afferma la legge irlandese, ma in ultima analisi la decisione nel singolo caso è presa da un ostetrico, che interviene facendo appello al senso comune per orientarsi nelle vaste zone grigie che si manifestano nell’ampia gamma di eventualità possibili.

L’aspetto più preoccupante della nuova legge è l’urgenza con cui la sua approvazione è stata caldeggiata dal governo; i parlamentari contrari si sono visti negare il diritto a un voto libero su una questione che, a loro giudizio, atteneva alla coscienza personale. Diversi esponenti del governo sono stati costretti a dimettersi da Fine Gael, il principale partito della coalizione; tra loro una sottosegretaria di alto profilo, Lucinda Creighton, cui l’opposizione alla proposta di legge ha fatto perdere il ministero. Benché Fine Gael si sia presentato alle ultime elezioni dicendosi contrario alla legislazione sull’aborto, è entrato in una coalizione con i Laburisti, partito di sinistra e pro-choice, che ha usato il caso Halappanavar per reclamare modifiche radicali al testo di legge. Il primo ministro Enda Kenny, un politico «conservatore» che da dieci anni è a capo di Fine Gael, è diventato un sostenitore entusiasta della legge, che a suo avviso è solo un tentativo di chiarire il dettato giuridico.
Al contrario, tuttavia, gli esperti pro-life hanno osservato che il comma relativo all’ideazione suicida come giustificazione per l’aborto, contenuto per la prima volta in una proposta di legge in Irlanda, potrebbe spianare la strada a un regime abortivo estremamente «liberal». Benché il testo imponga un protocollo severo, per esempio riguardo il numero di medici che devono approvare l’aborto, da più parti si teme che la prassi clinica possa presto trasformarlo in un aborto on demand. Un aspetto particolarmente problematico è l’assenza di limiti temporali: all’atto pratico questo potrebbe significare che l’aborto resterà legale fino al termine della gravidanza. Nei casi in cui sussiste la minaccia di suicidio, inoltre, la legge sembra consentire l’interruzione di gravidanza per tutto il tempo in cui la madre continua a minacciare di togliersi la vita. La «soluzione», si afferma, potrebbe richiedere la deliberata uccisione o l’accidentale menomazione del bambino, anche quando questi è già in grado di sopravvivere fuori dall’utero.

Del contesto culturale in cui la logica pro-choice è giunta a dominare la vita pubblica e il pensiero politico irlandese fanno parte l’abuso della ragione e la manipolazione degli scenari estremi - reali e ipotetici - per orientare l’opinione pubblica. I «dibattiti» su questo e altri temi etici controversi sono sempre «ospitati» dai media liberal. Anzi, «dibattiti» non è la parola giusta, perché si tratta di veri e propri drammi, in cui le forze tradizionaliste sono opposte ai «modernizzatori progressisti» in maniera da assicurare che solo l’argomentazione liberal abbia una possibilità di vittoria. In questi dibattiti, l’obiettivo non è mettere a confronto due posizioni, ma inscenare la vittoria della «verità» sull’«errore». Il dibattito sull’aborto, in particolare, è stato scrupolosamente manipolato per far apparire il lato pro-choice sensato e compassionevole, e il punto di vista pro-life insensibile, arretrato e deleterio.

Ma i pro-life hanno anche fatto dei passi falsi, rischiando di consegnare la vittoria agli avversari: non da ultimo appoggiando l’emendamento costituzionale del 1983, che ha avuto l’effetto di sostituire una legge contro l’aborto perfettamente adeguata con una misura che di fatto contrapponeva i diritti della madre e del bambino, lasciando che nei casi più complessi fossero i tribunali a decidere. Quell’emendamento ha involontariamente inserito il nascituro in un nuovo sistema di diritti personalizzati, in cui molto probabilmente l’equilibrio - in virtù dell’ideologia e delle simpatie dell’opinione pubblica - sarebbe stato distorto in favore della madre. Allorché si ridefinisce la relazione tra madre e figlio al di fuori della sua simbiosi naturale, identificando i due soggetti come entità in competizione, il bambino ha minori possibilità di sopravvivenza. Perciò ogni caso successivo ha provocato un’ulteriore erosione delle tutele giuridiche, che oggi è stata formalizzata in un nuovo testo di legge.
Un altro punto debole della campagna pro-life in Irlanda è il fatto che sia stata portata avanti soprattutto da cattolici che parlavano in quanto tali; e questo - data l’attuale debolezza del cattolicesimo nella cultura irlandese, arroccato com’è in posizione difensiva - ha presentato l’opposizione all’aborto come una posizione anacronistica e già sconfitta. In tempi recenti, il cattolicesimo irlandese si è reso visibile nel discorso pubblico quasi esclusivamente nel contesto di battaglie tese a impedire che la società irlandese evolvesse in direzione diversa da quella prescritta dalla morale cattolica. Così, l’argomento «tradizionalista» è ritenuto proveniente da posizioni semplicistiche, solitamente espresse in forma di precetti - per esempio che «ogni vita umana è sacra». La ripetizione di un precetto come questo lascia pensare che l’interesse dei cristiani sia quello di opporsi al progresso della società, anziché per esempio chiarire come sono giunti a pensare ciò che pensano. Nel dibattito di oggi, l’espressione telegrafica di questi valori acquisisce esattamente la consistenza e le modalità utili alla fazione avversa.

La parola «aborto» è diventata quasi un sinonimo di «cattolico», provocando manifestazioni di protesta caratterizzate da affermazioni estremiste e da una rabbia profonda. Intanto, la pressione insistente della nostra cultura per estromettere il pensiero cristiano dall’istruzione pubblica e da altre aree della cultura non registra quasi nessuna opposizione dall’interno della Chiesa cattolica; a parte un’occasionale e timida resistenza che può essere facilmente interpretata come semplice difesa del territorio. È come se l’aborto fosse diventato l’ultima frontiera dell’identità cattolica irlandese, l’unica questione che riesca ancora a correlare la fede alla realtà politica. Si ha spesso l’impressione che in tutti gli altri contesti i cattolici siano stati costretti con prepotenza ad ammettere che non hanno il diritto di rivendicare un ruolo per la loro fede nella sfera pubblica. E forse per questo motivo il loro zelo riguardo all’aborto si fa più pronunciato in modo direttamente proporzionale al loro senso di impotenza, e inversamente proporzionale alla loro influenza sulla vita pubblica. In effetti, il semplice atto di alzare la voce contro l’aborto è diventato, nel nostro dibattito pubblico, un’arma per lo schieramento avverso; segnalando, con la sua stessa presenza e intensità polemica, che la società «moderna» impone di andare nella direzione opposta, negli interessi del «progresso». E forse è proprio questa la radice delle dichiarazioni rese su questi temi anche da politici teoricamente cristiani come Enda Kenny: «Dobbiamo lasciare la fede “privata” fuori dalla politica»; «Il nostro compito è legiferare per tutti i cittadini, non solo per quelli di una certa posizione e convinzione religiosa».