Terra di rose e di sangue

Cristiani e musulmani torturati e costretti a fuggire dai loro confini, storie di uomini e ragazzi uccisi nella loro lotta per la democrazia. Shady Hamadi, autore del libro "La felicità araba", non ha perso la speranza nel futuro del suo Paese d'origine
Luca Fiore

Shady Hamadi è nato a Milano nel 1988. La madre è italiana, il padre è nato a Homs, in Siria. Lei è cristiana, lui musulmano laico figlio di un sufi. «Io mi definisco un musulmano innamorato di Gesù», dice Shady. La sua famiglia ha una storia travagliata legata alla repressione della dissidenza negli anni Sessanta. «Mio padre è stato arrestato e torturato perché membro del Partito nazionalista arabo, quello di Nasser. È riuscito a fuggire in Italia nel 1968. Siamo potuti tornare in patria solo nel 1997 con l’amnistia». Questa storia e quella dei dissidenti di oggi ha dato vita a un libro: La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana (ed. Add, pp 256 - € 15).

Che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
L’esigenza di esorcizzare il male, la sofferenza della mia famiglia. I segni delle torture di mio padre non restano soltanto sul suo corpo e nella sua memoria, ma in qualche modo anche nella mia. E poi ho sentito il bisogno di raccontare all’opinione pubblica italiana la storia recente della Siria e le vicende dei protagonisti della rivoluzione pacifica iniziata nel 2011 e uccisi dal regime. Oggi la società siriana è schiacciata tra due violenze inaccettabili: quella del regime e quella dei fondamentalisti islamici. Gli attivisti democratici sono messi nell’angolo e perseguitati da entrambe le parti.

Quali sono le storie che l’hanno colpita di più?
Ghayth Matarr era chiamato il “Gandhi siriano”. Tra il maggio e il settembre del 2011 durante le manifestazioni andava incontro ai soldati regalando rose e bottiglie d’acqua. Diceva: «Noi siamo come voi, siamo vostri fratelli, chiediamo la libertà anche per voi». È stato torturato e ucciso. C’è poi il dramma dei bambini. Penso a Hamza al Khatib, il ragazzino di 13 anni arrestato perché partecipava ai cortei. Finito con un colpo alla nuca, è stato riconsegnato alla famiglia gravemente mutilato.

Sull’altro fronte?
Padre Paolo Dall’Oglio ha sostenuto le ragioni della rivoluzione, poi è stato rapito dai fondamentalisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Sono bande di stranieri venuti in Siria con fini estranei agli ideali della rivoluzione. Una rivoluzione costantemente tradita e abbandonata.

Tradita da chi?
Dalla comunità internazionale. I siriani sapevano che il regime avrebbe acceso la miccia dello scontro confessionale. Le tensioni esistevano anche prima, è chiaro. Ma il regime ha sempre parlato in termini confessionali e diceva alle minoranze: «Non c’è nessuna rivoluzione, c’è solo una banda di fondamentalisti che vuole massacrarvi per fondare un califfato. Dopo due anni di totale abbandono da parte della comunità internazionale, i fondamentalisti sono arrivati davvero e stanno mettendo radici. Ma si scontrano con una società che rigetta sia la dittatura totalitaria e sia il fondamentalismo religioso. La Siria di domani non può più essere sotto nessun regime, né quello di Assad né quello che vogliono le bande di Al Qaeda.

Cosa occorre perché si fermino le armi?
La comunità internazionale deve trovare una posizione diplomatica comune. Non è possibile, ad esempio, che i membri dell’Unione europea vadano in ordine sparso. Si deve aprire un tavolo di trattative in sedi europee con la Russia e l’Iran, che sono i maggiori sponsor del regime siriano. Soltanto con un accordo con Mosca e Teheran, avendo chiaro quali sono i loro interessi in Medio Oriente, possiamo davvero sperare che il regime siriano possa cadere. Ma bisogna essere altrettanto consapevoli che in Siria c’è bisogno di una riconciliazione interna, per ricucire il tessuto sociale che è intaccato dall’odio. Da questo punto di vista i cristiani siriani possono giocare un ruolo importantissimo, quello di cerniera di riconciliazione tra alawiti e sunniti. Penso alla valle dell’Oronte, alla zona di Homs, piuttosto che a Tartus.

Ma oggi i cristiani sono uccisi dalle bande di al Qaeda e chi sopravvive vuole andare via. Il rischio è che non ci siano più quando ci sarà bisogno di loro.
L’esodo dei cristiani era già in atto prima della rivoluzione. È una tendenza comune a tutto il Medio Oriente. Non è che prima i cristiani potevano parlare ed esprimere la loro posizione politica senza problemi. Penso a Michel Kilo, lo scrittore cristiano detenuto per anni nelle prigioni del regime.

Molti cristiani siriani sostengono che il regime li tutelava.
La questione è che c’è una parte di alcune Chiese cristiane d’Oriente schierata con il regime. Parlo in particolare di membri del clero, che in un’ottica di benefit si trova collusa con la dittatura. La dottrina del regime dice: «Senza di noi le minoranze in Siria non verranno mai rispettate». Come se prima del regime siriano i cristiani in Siria non ci fossero: invece l’armonia all’interno del Paese è frutto di millenni di convivenza. L’ambiguità di alcuni prelati nei confronti del Governo ha portato all’immobilismo nella comunità cristiana e in molti si sono schierati con Assad.

Ma i cristiani uccisi a Maalula non sono un’invenzione.
Il fondamentalismo è un fenomeno che è arrivato nel Paese sì e no da un anno. Prima non c’era e nonostante questo, fin dall’inizio, molti patriarchi delle Chiese d’oriente si sono schierati apertamente con il regime. Se accettiamo che il regime rimanga al potere soltanto per la protezione dei cristiani, legittimiamo il massacro che sta portando avanti da 800 giorni. Oggi sono presenti nel Paese anche i pasdaran. Hezbollah è entrato ufficialmente nel conflitto a fianco di Assad. Non penso che combattano in nome della laicità. È l’intero popolo siriano che va tutelato: dai massacri del regime e quelli del fondamentalismo islamico.

Come giudica gli ultimi sviluppi?
Un attacco americano sarebbe stato disastroso in questo momento, perché avrebbe aggravato la disgregazione sociale in atto. Una frattura sociale che potrebbe portare a una frattura territoriale.

Ma l’attacco chimico è un fatto gravissimo.
Prima del 21 agosto ci sono stati 31 casi di uso occasionale e mirato di armi non convenzionali che non sono stati presi in considerazione dalle Nazioni Unite. Quello che mi sorprende è l’ondata di pacifismo contro l’intervento americano in Siria. Ma la pace non può essere in funzione antiamericana: è il popolo siriano che ha bisogno di pace. Io sono contro l’intervento degli aerei americani e contro quello degli aerei di Assad che da 800 giorni continuano a bombardare il popolo siriano. Quando cade una bomba a Homs nessuno sa se chi colpirà sarà cristiano, sunnita o alawita.

Cosa pensa della veglia di digiuno e preghiera indetta da Papa Francesco?
È stata una bella iniziativa. Ma il digiuno deve continuare, non può valere solo quando l’America alza i toni. In Siria la guerra continua.