Margherita Coletta da Giovanni Paolo II.

Chi dà la vita e il respiro a ogni cosa

Il 12 novembre 2003 l'attentato di Nasiriyah si portò via suo marito. «Amate i vostri nemici», disse Margherita Coletta ai microfoni dei Tg. Da quei fatti, dalle radici di quella fede certa, oggi è cresciuto un albero carico di frutti
Paola Ronconi

Sono le 8.40 in Italia il 12 novembre 2003, quando una macchina forza il posto di blocco all’entrata della base dei carabinieri “Maestrale” a Nasiriyah, Iraq. È un diversivo. È seguita a pochi metri da un camion cisterna carico di esplosivo. Muoiono in 28, di cui diciannove italiani: dodici carabinieri, cinque uomini dell’esercito e due civili. Tre giorni dopo le bare arrivano in Italia. Vengono trasferite all’Altare della Patria, dove è allestita la camera ardente. In un giorno e una notte sono mezzo milione le persone che vanno a rendere omaggio alle vittime di una tragedia che ha profondamente ferito il Paese. Lo strazio dei parenti, delle mogli, dei figli è immenso. Ma è il volto di una giovane donna quello che colpisce di più nei telegiornali. Quello di Margherita, moglie del brigadiere Giuseppe Coletta. Le telecamere la raggiungono a casa sua, a San Vitaliano, nel napoletano. Le hanno appena comunicato la notizia dell’attacco. Di suo marito. E lei, piangendo, ribalta chi si aspettava disperazione: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (...). Siate dunque perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste», dice, leggendo brani dal Vangelo di Matteo. Tanti rimangono colpiti, segnati da quella prospettiva fuori dagli schemi.

Anche don Giussani vide quelle immagini e si commosse. «“In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate”. Così in noi diventa grande l’urto del cuore per il giudizio della signora, moglie del brigadiere Coletta, che ha parlato davanti alle telecamere del telegiornale. “In te misericordia”, perché l’uomo cade senza conoscere il dove, il come e il quando. “In te pietate”, perché l’uomo è debole, contraddittorio e fragile fino alla morte. “In te magnificenza” è il comunicarsi di una forza di vittoria come luce finale. Bontà è il motivo di azione per l’uomo». Un commento, quello del fondatore di Cl, per cui «la testimonianza di Dante Alighieri è rifiorita nel dolore della signora Coletta», che fu ripreso come copertina per l’edizione della sera del TG2.

«Credo di non avere detto nulla di straordinario», dice oggi Margherita, ricordando quelle parole in Nasiriyah fonte di vita, un libro scritto dalla giornalista di Avvenire Lucia Bellaspiga, che ripercorre quei fatti e tutto quello che da essi è miracolosamente nato in seguito. «Dopo tutto è la coerenza della fede in Colui che ha dato la sua vita inchiodato a una croce, portando su di sé tutti i miseri peccati».

«Solo questo abbandono pieno di sicurezza in Colui che “dà il respiro e la vita a ogni cosa” (san Paolo) consente a una persona di non soccombere al dolore provocato dalla violenza degli uomini», scrive oggi don Julián Carrón nella prefazione al libro.
E che questo respiro fosse radicato da sempre nella vita di Margherita, tanto da venir fuori di schianto davanti alla morte del marito, lo si capisce anche solo leggendo tra le pieghe della sua vita. Una storia familiare travagliata, fin da bambina; poi, l’incontro a 13 anni con Giuseppe, che sposa, contro il volere della madre, una volta maggiorenne. Poi, nel 1997, il dolore per la morte di Paolo, il loro figlio di sei anni, per una leucemia. Fino alla missione di Giuseppe in Iraq. Sarebbe rientrato in Italia il 14 novembre, due giorni dopo l’attentato.

In questi anni, Margherita ha parlato davanti a migliaia di uditori, raccontando di sé, di Paolo, di suo marito. E di una fede incrollabile che le ha permesso di attraversare le vicende della sua vita. Davanti ai tanti che la ringraziano risponde con semplicità che «non è certamente me che devono ringraziare ma Gesù che in quel momento, davanti ai microfoni di quei giornalisti, si è servito di una piccola creatura per scuotere i cuori».

Di fatto, quello che accadde in seguito fu grande. A partire dal suo impegno in Burkina Faso cominciato poco tempo dopo, un albero che trova le sue radici nella morte del figlio e del marito. E poi quegli incontri con Eluana Englaro, la ragazza di Lecco in stato vegetativo cui interruppero l’alimentazione fino a lasciarla morire. Andò a trovarla tante volte, stava là, nella sua stanza. E parlava col padre, Beppino. «In te pietate...».

Per lei Giuseppe è un eroe, ma «non perché gli è saltata una bomba addosso», spiega a dieci anni di distanza: «Tu sei eroe per il modo in cui vivi, per come testimoni la tua vita agli altri, fino all’ultimo istante. Non era stata Nasiriyah a cambiargli il cuore. Casomai glielo aveva riempito ancora di più, soprattutto vedendo i bambini iracheni costretti a pagare per la cattiveria dei grandi. Il suo cuore era così ovunque, a casa, in missione. Chissà quali gesta eroiche molte altre persone hanno compiuto e nessuno lo sa. Ma lo sa Dio. Ed è questo che conta».

Oggi, a 43 anni, Margherita riguarda il passato e ci legge dentro un disegno buono: «È stato tutto un percorso. È sempre stato tanto l’amore di Dio e io ho sempre sentito la sua vicinanza. Da bambina, magari, uno lo comprende poco, ma poi Cristo si fa presente e se lo accogli, con tutto il dolore che puoi provare... In dieci anni sono diventata più adulta, anche nella fede, è un cammino, perché tutto ruota intorno a Cristo. È il centro di tutto, della mia vita, delle mie giornate, del mio passato, del mio presente. Ho perso un figlio e un marito... Ma posso dire che è molto di più quello che ho ricevuto di ciò che mi è stato tolto».
Margherita è una donna felice, dice di sé: «Io mi sento amata immensamente, nonostante ci siano tante difficoltà, anche nel comunicare: non è facile testimoniare Gesù, vieni presa per folle. Però va bene lo stesso. Il cammino è quello giusto, a quanto pare».