Mosca, la Piazza Rossa.

La "trappola" del cristianesimo

Le vicende ucraine, l'incontro tra Putin e il Papa, il ruolo di Mosca sulla scena internazionale. E ancora, il "cristianesimo" nella Costituzione tra i principi fondativi. Che identità cerca la Russia? E a che prezzo?
Giovanna Parravicini

Sono giorni drammatici in Russia; all'atmosfera di apertura, alle speranze di nuove configurazioni degli scenari internazionali in cui la Russia potesse assumere un ruolo positivo nella soluzione dei conflitti, che hanno trovato un'immagine-simbolo nel recente incontro fra Putin e Papa Francesco, sembra sovrapporsi in queste ultime ore l'immagine di una Russia esclusivista, che detta perentoriamente le proprie condizioni - è sotto gli occhi di tutto il mondo l'Ucraina in fiamme - ponendo rigide alternative tra la propria sfera di influenza e, in questo caso, l'Europa.
Forse è proprio questo che più indigna gli ucraini: molti, tra quanti presidiano il Majdan a Kiev, probabilmente non si rendono conto dei reali problemi che l'ingresso in Europa comporta, delle dure condizioni del gioco. Entrare in Europa non sarebbe certo una passeggiata, per l'Ucraina. Eppure la gente - soprattutto le giovani generazioni - lo vuole con tutte le sue forze. E non è semplicemente un moto di ingenuità, la scommessa su un'Europa libera, democratica e solida che in realtà non esiste, o non esiste più: l'Europa in questo caso rappresenta il principio personale che la gente è abituata a veder calpestato nella vita quotidiana come nelle grandi scelte del Paese: è divenuto intollerabile il non contare nulla agli occhi dello Stato, l'essere semplicemente uno strumento di giochi politici e di potere che passano sulla testa della gente. 
Dopo due anni di promesse e di trattative nel percorso verso l'Europa, è bastato che Janukovic fosse richiamato a Mosca dal «padrone» perché le cose prendessero la piega opposta. Senza dibattiti né tanto meno referendum, semplicemente con un'intesa ai vertici. Di qui l'esasperazione della popolazione. Strumentalizzata o pilotata che sia, da forze estremiste, nazionaliste, il fulcro della protesta – e a Mosca lo si avverte bene, e lo si condivide – è un disperato tentativo di affermare che l'«io» esiste, che il cittadino, il gruppo, la nazione hanno un'identità che lo Stato non può permettersi di ignorare o di reprimere. È lo stesso sentimento che due anni fa, nel dicembre 2011, aveva spinto i moscoviti a scendere in piazza per protestare contro i clamorosi brogli elettorali e che da allora non è più venuto meno.

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